Picchiata con una cadenza quasi mensile e abbandonata a se stessa quando aveva avuto il secondo figlio che lui non avrebbe nemmeno voluto riconoscere. I due bambini nati dalla loro unione si sarebbero chiusi in cameretta ogni volta che in casa iniziavano discussioni tra i genitori e dove a prenderle di santa ragione era sempre la madre. Per la vittima lui "mi voleva uccidere, mi voleva far diventare matta". Con l’accusa di maltrattamenti in famiglia e lesioni il collegio penale ieri ha condannato a due anni e un mese un operaio di 48 anni, nigeriano. Per quattro anni avrebbe alzato le mani sulla sua convivente, una 40enne connazionale, quando la coppia ha vissuto a Montemarciano. L’ultima aggressione fisica la vittima, parte civile nel processo con l’avvocato Elisabetta Nicolini, l’avrebbe subita il 18 agosto del 2019. In casa erano arrivati i carabinieri trovando i mobili rovesciati, la porta tutta rotta e la vittima con i lividi al volto. Era stata portata in ospedale dove i medici le avevano dato una prognosi di 7 giorni. Il compagno aveva negato tutto dicendo che quando aveva lasciato la casa era tutto in ordine. Due giorni dopo però era stato in caserma a ritirare il passaporto che gli era stato prelevato, sporco di sangue, e al carabiniere aveva detto di essersi pentito dell’accaduto di due sere prime. Altri tre episodi simili, di botte ricevute dal compagno a seguito di litigi, sarebbero avvenuti nei quattro anni precedenti anche se nel corso del processo è stato indicato che la donna veniva picchiata almeno una volta al mese. La Procura, con il pubblico ministero Ruggiero Dicuonzo, aveva chiesto 4 anni di condanna per l’imputato, parlando di un clima di sopraffazione che l’uomo avrebbe creato in famiglia. Per la difesa, rappresentata dall’avvocato Marusca Rossetti, era la donna che riprendeva continuamente il suo uomo in casa. Alla vittima andranno anche 6mila euro di risarcimento.
ma. ver.