Oseghale dal carcere: "Non ho ucciso Pamela". La rabbia della famiglia: dica chi sono i complici

Il nigeriano all’ergasto lo per omicidio e violenza sessuale: morta per droga, l’ho fatta a pezzi per paura. La madre della 18enne: "Continua a mentire"

Pamela Mastropietro, uccisa nel gennaio del 2018

Pamela Mastropietro, uccisa nel gennaio del 2018

Macerata, 11 maggio 2023 – “Ho avuto paura di perdere la mia famiglia, tutto quello che avevo sognato, e ho sottovalutato il malore di Pamela". Dal carcere di Forlì, Innocent Oseghale continua a negare di avere ucciso il 29 gennaio del 2018, a Macerata, la 18enne romana Pamela Mastropietro, ritrovata a pezzi in due trolley il giorno dopo.

Parole che infastidiscono la mamma della ragazza, Alessandra Verni: "Sono cinque anni e tre mesi che sento sciocchezze da lui. È colpa sua se non ho più mia figlia ed è colpa sua se lui non ha più i suoi figli, glieli hanno tolti e hanno fatto bene". "Non ho ucciso la povera Pamela e non l’ho violentata – ripete il 35enne nigeriano, condannato all’ergastolo per omicidio e violenza sessuale in appello, e in attesa della Cassazione –. Purtroppo le ricostruzioni durante il processo non hanno tenuto conto delle prove a mia discolpa e in parte sono sicuro di pagare per pregiudizi legati al fatto che io sia un immigrato di colore. Penso spessissimo a Pamela, sono dispiaciuto e addolorato, ma non posso pagare una colpa non mia".

Oseghale ricorda quanto avvenuto nella mansarda di via Spalato. "Mi sono messo a preparare la colazione – dice –. Pamela ha consumato una sostanza che non avevo mai visto consumare a nessuno, e di cui non conoscevo gli effetti. Si è sentita male ed è caduta a terra. Ho sottovalutato il suo malore. Ho chiamato un amico che mi ha suggerito di darle dell’acqua. L’ho messa a letto e sono uscito. Al mio ritorno Pamela non c’era più. È stato uno choc. Ho avuto paura di perdere la mia compagna, in comunità con la mia primogenita e incinta del mio secondo figlio. Ho avuto paura di perdere tutto quello che avevo sognato, una famiglia. Ho avuto paura che nessuno avrebbe creduto a un ragazzo di colore con in casa il cadavere di una ragazza. Dovevo salvarmi e ho commesso lo sbaglio più grande della mia vita, non chiamando l’ambulanza e la polizia. Ho avuto paura e chiedo scusa. È il rimorso che porterò sempre dentro di me".

“Sono cinque anni e tre mesi e mezzo che sento sciocchezze da Oseghale. Non si deve permettere di paragonare il mio dolore con il suo, il fatto che non può vedere i figli con l’uccisione di Pamela, morta per mano sua e dei suoi complici – risponde Alessandra Verni –. Contrariamente a quello che dice non è affatto pentito. Se non è stato lui, e se è pentito, perché non fa i nomi dei responsabili? Ha detto di non conoscere gli effetti della droga che Pamela si era somministrata. Ma gliel’ha venduta lui con i suoi connazionali". "Oseghale afferma di avere subìto torture nei campi di prigionia libici – aggiunge l’avvocato Marco Valerio Verni, zio di Pamela –, ma ha denunciato i suoi aguzzini? La sua domanda di protezione internazionale è stata rigettata in tutti i gradi di giudizio. Strano, no? Noi continuiamo a ipotizzare che lui e alcuni connazionali finiti nelle indagini possano fare parte di un’organizzazione criminale etnica, anche di stampo mafioso. Aspetto sul quale, a nostro parere, non si sono svolte delle indagini accurate. Nulla vieta che, nel caso l’ergastolo fosse confermato, lui possa crollare e fare i nomi dei complici. Perché se è vero che ha posto in essere un unicum nella storia della criminologia mondiale degli ultimi cinquanta anni, o è un macabro genio della chirurgia, o qualcuno lo ha inevitabilmente aiutato".