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In Arabia Saudita solo da pochi anni possono guidare l’auto e anche nello sport ci sono problemi

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L’Arabia Saudita è uno dei paesi in cui i diritti delle donne sono tra i più limitati al mondo. Negli ultimi anni, fortunatamente, ci sono stati dei leggeri miglioramenti ma il raggiungimento della parità tra i due sessi è ancora lontano.

Nel 2017 è stato emanato un decreto che ha consentito alle donne saudite di guidare. Questo successo si è ottenuto grazie alle numerose proteste da parte di gruppi di attivisti durante il movimento "Women to drive".

Loujain al-Hathlou, capofila di uno di questi gruppi, è stata incarcerata all’incirca tre anni fa, poco tempo prima dell’introduzione della nuova legge. La sua liberazione risale a poche settimane fa; Loujain al-Hathlou ha così dovuto passare oltre mille giorni in prigione solo per essersi battuta per il diritto alla guida.

In seguito all’emanazione di tale legge, si è poi creato il problema dell’assenza di istruttrici di guida, tanto che il Paese è stato costretto a lanciare un appello a tutte le associazioni di autoscuola europee. Le istruttrici di guida dovevano comunque rispondere a requisiti specifici: avere come minimo cinque anni di esperienza, conoscere l’inglese e possibilmente anche l’arabo, ma soprattutto essere donne. Quest’ultimo requisito è necessario per il fatto che ancora oggi le leggi dell’Arabia Saudita impediscono il contatto tra maschi e femmine al di fuori delle mura domestiche.

Se ci spostiamo in Qatar, le giocatrici di Beach Volley hanno ottenuto il permesso di giocare con il tipico bikini sportivo, durante il prestigioso Beach Volleyball Word Tour che si è tenuto tra l’8 ed il 12 marzo. Inizialmente era stato consigliato un dress code che prevedeva una divisa composta da maglietta e pantaloni. Tale imposizione non è stata accettata di buon grado dalle giocatrici; Karla Borger e Julia Sude, due ragazze appartenenti alla nazionale tedesca di beach volley, hanno minacciato di boicottare il torneo se non fosse stata eliminata tale regola. Questa protesta si è poi estesa a numerose colleghe di altre nazionalità.

Alla fine gli organizzatori, preoccupati delle importanti perdite economiche se il torneo non si fosse tenuto, hanno concesso ad ogni squadra la libertà di giocare abbigliata secondo le proprie tradizioni e con la propria divisa.

La battaglia per la conquista dei diritti della donna ha avuto quindi la sua vittoria, ma non per le giuste motivazioni.

Marianna Dello Russo IIIA