
Ti sembra di essere sul ponte di comando di una nave. Il blu intenso del mare è davanti a te e si estende sino all’orizzonte per poi confondersi con l’azzurro del cielo.
Siamo al Ristorante il Molo di Portonovo, di Fabrizio Giacchetti e suo figlio Giacomo. In questo luogo incantevole dal 1986 svolge la sua attività di chef Simone Baleani. Primo anno di Scuola alberghiera a Senigallia, primo anno di lavoro a Portonovo e da allora non ha più lasciato il ristorante.
Quando ha capito che quella dello chef era la sua strada?
"All’asilo mi infilavo sempre nella cucina della cuoca Lidia. Alle elementari mi infilavo sotto la serranda ancora semi abbassata della pizzeria di Lucia e Vincenzo di via Torresi dove mi facevano spennellare i maritozzi con la glassa di acqua e zucchero. Questo l’incipit che ha dato il via alla mia passione".
Quali sono state le difficoltà che ha incontrato nella sua carriera e quali le soddisfazioni?
"L’impegno è stato sempre premiato da grandi soddisfazioni. Guardare l’espressione del viso dei clienti quando mettono una pietanza in bocca è molto appagante".
Ci sono stati maestri o persone che hanno contribuito ad essere lo chef che è oggi?
"Tutti gli insegnanti della Scuola alberghiera che ho incontrato. Ricordo chi non è più tra noi, Alberto Rolla, insegnante di cucina e grande professionista e Luciano Chiostergi che si occupava di sala e accoglienza, una personalità importante".
Quali caratteristiche deve avere uno chef?
"Essere leggeri nei rapporti, educati, cortesi, misurati con chi ti sta vicino in cucina, in sala, con i fornitori. Capaci, preparati, curiosi, studiosi, lasciandosi contaminare dai colleghi, dalle esperienze che capitano, da quello che si legge e si impara".
Come è il rapporto con la cultura gastronomica locale e i prodotti del territorio?
"Un rapporto molto stretto, che alimento di continuo. Stimolo sempre chi mi sta accanto a conoscere le realtà del nostro territorio perché ci sono delle grandissime professionalità nel settore della pesca, dell’agricoltura, dell’allevamento. Si deve conoscere quello che è attorno a noi e poi magnificare e raccontare i prodotti nei piatti che prepariamo".
Quale è il suo piatto preferito e perché?
"Il Mosciolo selvatico di Portonovo, Presidio Slow Food. Grazie ai nostri pescatori è un privilegio averlo a disposizione, è raccolto in acque sane, subito commercializzato e cotto nei molteplici piatti che ne sanno esaltare il sapore".
I clienti che vengono a Portonovo cercano un piatto da provare o una emozione da vivere?
"Se cento è il giudizio che può dare un cliente per la sua esperienza, il piatto supera di poco trenta, perché poi il resto è dato dall’empatia che si crea con il cameriere. Basta che guardi fuori per entrare in pace con te stesso e con il Mondo. Questo posto è unico e senza snaturare i buoni prodotti che trasformiamo il gioco è fatto".
Il lockdown ha chiuso i ristoranti. Cosa le è mancato di più?
"E’ stato un periodo molto pesante e noi essendo stagionali lo abbiamo vissuto in parte. Quello che è mancata di più è la quotidianità e il rapporto diretto con i nostri clienti".
Lei lavora in uno dei luoghi più belli d’Italia. Quando e come riesce a gustarselo?
"Mi considero un privilegiato. Ogni giorno lo stupore si rinnova e mi riempie il cuore da quando arrivo la mattina presto alla sera quando rientro. Dalla cucina posso vedere e sentire il mare. E’ qualcosa che ti culla l’anima e che pochi hanno".
Quale consiglio darebbe ad un giovane che vuole intraprendere la carriera da Chef?
"Studiare molto, essere veramente curioso, non lasciarsi prendere dai momenti modaioli, tenere in giusta considerazione i rapporti con i colleghi, con la squadra della cucina, con le persone che ci circondano. In Cucina non si urla, non si bestemmia, non si offende ma si mantiene sempre la calma, si è ben organizzati per evitare quelle pressioni che poi distraggono".
Claudio Desideri