RAIMONDO MONTESI
Cronaca

"Un’indagine sulla depressione che colpisce la nostra società"

Giuseppe Dipasquale, direttore di Marche Teatro, è regista de ’Il male oscuro’ di Giuseppe Berto "E’ utile riflettere su certi temi, come la nevrosi costante che troviamo nella vita quotidiana".

Giuseppe Dipasquale, direttore di Marche Teatro, è regista de ’Il male oscuro’ di Giuseppe Berto "E’ utile riflettere su certi temi, come la nevrosi costante che troviamo nella vita quotidiana".

Giuseppe Dipasquale, direttore di Marche Teatro, è regista de ’Il male oscuro’ di Giuseppe Berto "E’ utile riflettere su certi temi, come la nevrosi costante che troviamo nella vita quotidiana".

E’ stato pubblicato nel 1964, oltre sessant’anni fa, ma nessuno lo ha mai portato su un palcoscenico. ‘Il male oscuro’ di Giuseppe Berto, libro di culto fin dalla sua uscita, nonché grande successo commerciale, è rimasto una sorta di ‘tabu’ in questo senso.

A romperlo, ora, è il regista e drammaturgo Giuseppe Dipasquale, direttore di Marche Teatro. Inutile dire che il suo spettacolo si appresta ad essere uno degli eventi culturali più attesi dell’anno.

Dipasquale, come spiega questo ‘vuoto’ nel teatro contemporaneo italiano?

"Probabilmente perché le quattrocentocinquanta pagine di flusso di coscienza del romanzo hanno un po’ ‘atterrito’ chi pensava di portarlo a teatro. Questo nonostante che il libro sia un caposaldo della nostra letteratura, e abbia ottenuto un riconoscimento immediato. C’è poi da dire che il mio percorso di regista e drammaturgo mi porta ad affrontare delle ‘sfide’ piuttosto che lavorare su drammturgie già pronte. Di qui le trasposizioni di opere di autori come Andrea Camilleri e Umberto Eco, solo per farle un esempio concreto".

Nelle note di regia ha sottolineato l’attualità del malessere descritto da Berto.

"Il romanzo è un’indagine penetrante della condizione di un uomo che sprofonda nel baratro della depressione. Ma non si tratta di una condizione personale, bensì ‘cosmica’ e sociale, che purtroppo si rivela in sincronia con i tempi che stiamo vivendo. Diciamo che il libro descrive il disagio dell’uomo contemporaneo occidentale. Non di un contadino della Papuasia, per intenderci".

Sicuramente la depressione non è un disturbo in calo nelle nostre società.

"Oggi più che mai è utile riflettere su certi temi, come la nevrosi costante della vita quotidiana. Una nevrosi che spesso nasce per l’assenza dell’oggetto desiderato. Vogliamo sempre di più, sempre più cose, ma questo si traduce in una moltiplicazione di oggetti mancanti, che ci priva di un ‘centro’ in grado di consentirci di guardare la vita con un certo distacco, invece di esservi continuamente immersi e travolti. Basti pensare ai giovani, che devono ‘subire’ una società che noi abbiamo predisposto per loro".

Vista la scrittura di Berto si può immaginare uno spettacolo molto ‘parlato’. A livello scenografico cosa deve attendersi il pubblico?

"La sfida è stata quella di raccontare tutto all’interno di un ‘processo psichico’. Abbiamo scelto materiali particolari, che determineranno la sensazione che tutto si svolge nella mente del protagonista. Questo a livello concreto, non come un’indicazione, un’allusione. La scena ‘è’ la psiche di Bepi".

Che ne pensa del film che Monicelli trasse dal libro?

"L’ho visto più volte. E’ stato fatto da artisti eccellenti, ma il testo non si presta ad essere trasformato in una commedia all’italiana, come volle Monicelli".

Raimondo Montesi