Ancona, ecco perché l’untore Hiv deve restare in carcere. "Può infettare ancora"

Le motivazioni del no alla richiesta di Pinti

Claudio Pinti

Claudio Pinti

Ancona, 9 luglio 2018 - Deve restare in carcere Claudio Pinti, l’untore dell’Hiv, il 35enne di Montecarotto finito in cella il 12 giugno scorso per lesioni personali gravissime, perché sospettato di aver contagiato la ex fidanzata che a maggio si è scoperta sieropositiva. Secondo i giudici del Tribunale della Libertà, cui il 29 giugno si erano rivolti gli avvocati della difesa, contro il 35enne c’è «un quadro indiziario del tutto solido e convincente», come si legge nelle motivazioni alla base del rigetto dell’istanza di scarcerazione. Non solo il racconto della vittima è attendibile, ma anche l’atteggiamento di Pinti rispetto al virus dell’Hiv lascia supporre che fosse altamente contagioso, perché si è sempre rifiutato di sottoporsi a qualsiasi terapia, sin dal 2009 quando è stato trovato positivo al virus.

HIV_31781711_154233

Gli avvocati  Alessandra Tatò e Andrea Tassi, legali dell’ex autotrasportatore, avevano chiesto la scarcerazione anche perché non sono state fatte analisi specialistiche capaci di dimostrare che il contagio della vittima discenda proprio da Pinti. Solo nei giorni scorsi il giudice per le indagini preliminari Carlo Cimini ha disposto un incidente probatorio per accertare il nesso causale tra la sieropositività di Pinti e quella della ex fidanzata, su richiesta della difesa. Sarà dunque un perito del tribunale a stabilire un eventuale legame. Anche in assenza di un esame specialistico, secondo il collegio del Riesame presieduto dal giudice Alberto Pallucchini, «gli elementi sin qui acquisiti consentono di ritenere provato con un alto grado di probabilità il nesso causale».

image

I giudici, come già il mese scorso aveva fatto il gip, ritengono attendibile la vittima, che ha riferito di aver consumato rapporti sessuali non protetti per mesi con Pinti, unico partner negli ultimi due anni. La donna, stando alle analisi, ha contratto il virus entro i sei mesi precedenti. Il 35enne non le aveva mai confessato di essere sieropositivo, anzi nega l’esistenza dell’Hiv. La difesa ha fatto leva anche sul negazionismo per dimostrare che l’indagato non era consapevole di contagiare altre persone, ma secondo i giudici non esistono «elementi oggettivi concreti che l’indagato abbia una posizione negativista sulla sussistenza della malattia, che contrasta con i numerosi accertamenti ai quali comunque si era sottoposto».

image

Ci sarebbe inoltre il pericolo della reiterazione del reato, dato che Pinti ha continuato a consumare rapporti non protetti pur sapendo di essere sieropositivo. C’è anche il rischio di inquinamento delle prove, data la reticenza del 35enne. Pinti, però, può ancora sperare di essere scarcerato dopo le nuove analisi cui è stato sottoposto: se arrivasse una diagnosi di Aids conclamato, le sue condizioni sarebbero incompatibili con il carcere. Pinti si trova in cella a Montacuto per il reato di lesioni gravissime, ma la Procura ha ipotizzato con un fascicolo stralcio anche l’omicidio volontario, in relazione alla morte della compagna, stroncata il 24 giugno 2017 da complicazioni legate all’Aids.