Daniel Oren tra ebraismo e fascino parigino

Il Maestro stasera sul podio del Manzoni per un concerto in cui si passerà dalle suggestioni religiose all’esplosione di Gershwin

Daniel Oren tra ebraismo e fascino parigino

Daniel Oren tra ebraismo e fascino parigino

di Marco Beghelli

Quando, in piena pandemia, il maestro Daniel Oren venne a Bologna per dirigere uno dei concerti sinfonici del Comunale a porte chiuse, sottolineavamo con piacere un ritorno atteso per un quarto di secolo. Da allora le occasioni si sono moltiplicate, e sempre con eventi di prestigio: l’apertura della prima stagione lirica postpandemica con una folgorante ’Tosca’, seguita a ruota da una notevole ’Luisa Miller’; poi quest’anno l’inaugurazione del Comunale Nouveau con la ’Madama Butterfly’ e il successivo ’Verdi Gala’ di portata nazionale.

Il Maestro torna stasera al Manzoni con un concerto sinfonico dal programma tutt’altro che ovvio (ore 20,30). Vedere Oren alle prese con partiture sinfoniche è esperienza relativamente rara, preferendo egli da sempre impegnarsi nell’opera. Per l’occasione ha poi scelto quattro brani particolarissimi. ’Kol Nidrei’ del compositore tedesco Max Bruch è un’intensa e melanconica partitura per violoncello e orchestra basata sulla variazione di due temi d’estrazione ebraica, il primo dei quali deriva dal ’Kol Nidre’, formula recitata durante lo Yom Kippur. Solista sarà il primo violoncello della stessa orchestra, Francesco Maria Parazzoli, con il compito di imitare sullo strumento la voce del cantore nella sinagoga. Ancora alla cultura ebraica si rivolgono i granitici ’Chichester Psalms’, ben più ampia partitura corale dell’americano Leonard Bernstein, fra i massimi direttori d’orchestra del ’900 e sempre più considerato come compositore. A intonare i 6 testi salmodici in lingua ebraica il Coro del Comunale diretto da Gea Garatti Ansini. Totalmente luce e colori sarà, per contrasto, la seconda parte del concerto, che si apre con il poema sinfonico ’An American in Paris’ di George Gershwin, memoria autobiografica in cui scorrono in successione i suoni mirabolanti della futuristica capitale francese appena uscita dalla Prima Guerra mondiale: non ultimi, i rumori del traffico cittadino con i penetranti ‘clacson’ delle nuove automobili ospitati fra i tanti strumenti a percussione dell’orchestra. Gran finale con il ’Bolero’ del francese Maurice Ravel, tanto noto quanto raramente eseguito in sala da concerto, quasi per pudore di fronte a una partitura ad effetto, certo, ma basata su un principio compositivo assolutamente provocatorio, qual è la ripetizione all’infinito della stessa lunga e sinuosa melodia, senza il minimo accenno di uno sviluppo formale se non l’accumulo progressivo di sempre più sgargianti colori strumentali.

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