Gianfranco Pasquino: "Io, torinese a Bologna. Fra Santo Stefano, Unibo Johns Hopkins"

Il professore emerito di Scienza politica compie oggi 80 anni. "Il miglior sindaco? Imbeni. E fra i rettori, Roversi-Monaco"

Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza politica all’Alma Mater

Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza politica all’Alma Mater

Bologna, 9 aprile 2022 - Anche oggi, per Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza politica all’Unibo, sarà una normale giornata di lavoro. Business as usual, come dicono i colleghi delle università anglosassoni dove ha insegnato. Anche nel giorno in cui il professore – nato a Torino, bolognese in pianta stabile dal 1969 – compie 80 anni. Con leggerezza. Facendo finta di niente.

Professore, che idea aveva di Bologna il 27enne Pasquino?

"A quei tempi, vista da uno di Torino, Bologna era una città non dico meridionale, ma certo un po’ a Sud".

Che tipo di città si immaginava di trovare?

"Pensavo che sarei venuto ad abitare in una città gradevole, progressista, dove si poteva vivere bene. Dove c’era il Mulino. E una buona Università".

È andata così?

"Con alti e bassi, ovvio".

Parliamo dell’Università.

"Fino a un certo punto è cresciuta. Poi si è come seduta".

Il rettore che le è piaciuto di più?

"Fabio Roversi-Monaco. Il più innovativo e dinamico".

E il sindaco? Ne ha incontrati una decina.

"Il più bravo è stato Renzo Imbeni. Un modenese che aveva i tratti che attribuiamo ai bolognesi. Capacità di lavoro, cordialità, interesse per le persone".

Bologna ha influenzato anche il suo carattere?

"Non c’è dubbio. A Torino stavo bene con me, avevo pochissimi amici. Bologna mi ha cambiato, qui mi sono aperto. E poi il rapporto con gli studenti: ti costringe a essere estroverso. Non puoi... insegnarti addosso".

Come è cambiata Bologna?

"Mi sembra una città più dura, meno cordiale, meno dinamica e vivibile di un tempo. È una città che è invecchiata in modo incredibile. Ma il mio è, inevitabilmente, lo sguardo che sulla propria città ha una persona diventata anziana".

Qual è il suo luogo del cuore?

"Piazza Santo Stefano, quando non c’è gente. È il luogo dove mi sento più sereno. E poi il Bologna Center della Johns Hopkins: da lì partii per gli Stati Uniti, e la mia vita cambiò".

Libri della vita?

"L’uomo senza qualità, di Musil; Auto da fé, di Canetti. E poi Sostiene Pereira, di Tabucchi. E Pavese, Calvino Fenoglio...".

Bilancio dei primi 80 anni?

"In larga misura è positivo. Quello che volevo fare ho fatto".

Rimpianti?

"Mi amareggia un po’ vedere che il Paese non è migliorato. Pensavo che con la Scienza politica avremmo potuto migliorare le cose. È una delusione anche personale... Non sono riuscito a fare abbastanza per cambiare ciò che si poteva cambiare".

 

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