
Le prossime mosse della Procura. A breve la richiesta di rinvio a giudizio
Accusa e difesa già affilano le armi per quella che si annuncia come una battaglia durissima in aula. Il futuro processo al medico Giampaolo Amato, che dovrà rispondere di ben due omicidi, è infatti un caso in cui manca la cosiddetta ’pistola fumante’, ossia la prova regina, quindi sia la Procura che gli avvocati dell’imputato sono coinvinti di avere, su fronti opposti, ottime frecce al proprio arco.
Il procuratore aggiunto Morena Plazzi e il sostituto Domenico Ambrosino, che hanno coordinato le indagini sono state svolte dai carabinieri, presto chiederano il rinvio a giudizio di Amato, dopo che a fine settembre gli hanno notificato l’avviso di fine indagine. Un passaggio scontato, che arriverà a breve, e che porterà il fascicolo in tribunale, dove il gip dovrà fissare l’udienza preliminare. A quel punto inizierà la battaglia vera e propria.
Secondo l’accusa, Amato, oculista di 64 anni molto noto in città ed ex medico della Virtus, nella notte fra il 30 e il 31 ottobre 2021 uccise la moglie Isabella Linsalata, 62 anni, dopo aver già ucciso, 22 giorni prima, la suocera Giulia Tateo, 87 anni. E lo fece, sempre secondo i magistrati, per "motivi ereditari e per avere libera disponibilità degli immobili ubicati in via Bianconi, al primo piano, residenze della suocera e della moglie (Amato abitava al piano di sotto dello stesso palazzo, dopo la separazione da Linsalata, ndr), e soprattutto per avere piena libertà nella relazione extraconiugale".
Già, perché Amato da tempo frequentava un’altra donna e voleva poter vivere liberamente quel rapporto. Per questo avrebbe deciso di ammazzare la moglie che, secondo lui, rappresentava un ostacolo al suo nuovo amore. Madre e figlia furono uccise, per l’accusa, tramite psicofarmaci e sedativi (individuati dall’autopsia eseguita su Isabella Linsalata grazie alle richieste della sorella e dei figli) che il medico somministrò loro di nascosto. Decisive per incastrare l’oculista sono state le celle telefoniche, le chat e perfino lo smartwatch dell’uomo: i carabinieri, infatti, dopo l’analisi dei dispositivi hanno potuto collocare Amato in casa la notte in cui morì Giulia Tateo e stabilire che il medico era da solo e che non stava dormendo, come invece lui aveva sostenuto.
Tanti indizi e prove, appunto, senza però la ’pistola fumante’. Per la difesa, invece, non c’è neppure la certezza che quelli furono effettivamente due omicidi. Dunque, a carico di Amato ci sono elementi per dimostrarne l’innocenza, non certo la colpevolezza.
Gilberto Dondi