Ripartire da dove la vita è stata tolta, facendo i conti con il passato e dando nuova linfa a un territorio fragile, macchiato per sempre da un attentato che sconvolse una comunità e un corpo, quello dell’Arma dei carabinieri. Ripartire nel nome di chi, quel 4 gennaio 1991, fu trucidato indossando la divisa: tre giovani militari assassinati dai fratelli Savi. Ripartire per Otello Stefanini, Andrea Moneta e Mauro Mitilini, a cui verrà intitolata la nuova caserma del Pilastro, a Bologna.
A una manciata di metri dal luogo della strage della Uno Bianca, il colonnello Ettore Bramato, comandante provinciale dell’Arma, apre le porte della nuova stazione dei carabinieri Bologna Pilastro, un presidio atteso da anni ("dall’attentato nasce l’idea della caserma", ha detto il colonnello). Operativa da qualche giorno, la struttura, finanziata dal Comune con un investimento di 2,5 milioni di euro, ha ospitato ieri le autorità del territorio per una visita informale. Ad accogliere il prefetto Enrico Ricci, il questore Antonio Sbordone, il comandante della legione della Guardia di Finanza Marco Lainati e il sindaco Matteo Lepore, Bramato e i 16 carabinieri della caserma, sotto la guida del maresciallo maggiore Andrea Palumbo. E in questa occasione, è stato impossibile non riavvolgere il nastro: "Questa caserma rappresenta la volontà dello Stato di riprendersi un quartiere che immeritatamente è connesso alla strage del 4 gennaio 1991 – inizia Bramato –, quando sono stati barbaramente uccisi tre carabinieri. Da lì nasce l’idea della costruzione di una caserma. Che ora, grazie all’opera del Comune, siamo riusciti a realizzare". La caserma è "molto funzionale a quelle che sono le esigenze nostre e quelle della comunità", chiude il colonnello. Al suo fianco il sindaco Lepore: "La caserma è attiva a pieno regime, il personale già vive qui e i cittadini possono venire a fare le loro denunce – sostiene il sindaco –. Un presidio attivo sul territorio. Questa comunità aspettava questo arrivo e sarà molto importante la collaborazione tra i carabinieri e i cittadini. Questo è un territorio molto vivo, con tante famiglie nuove: possiamo lavorare sulla sicurezza urbana integrata e partecipata, perché non possiamo combattere contro spaccio e degrado se non c’è partecipazione".
Comunità verso cui i militari dell’Arma si voltano, raccogliendo il lascito di chi non c’è più: "Fare servizio qui è un motivo di onore e orgoglio, guardando all’attentato in cui tre colleghi sono morti – afferma l’appuntato scelto con qualifica speciale Vincenzo Musio, 42 anni di cui 22 passati in divisa –. Per noi e per l’Arma è un segno di forza, tenendo vivo il ricordo del loro sacrificio. Io all’epoca avevo solo sette anni – continua Musio –, ma quell’attentato mi ha dato l’input per approfondire meglio il significato di essere carabiniere, come la strage di Capaci. Quelle persone che avevano in loro lo spirito di giustizia, mi sono rimaste dentro: è anche grazie a loro se sono qui".
Lo spazio conta cinque camere con dieci posti letto e quattro alloggi destinati alle famiglie dei militari, tutto già al completo.
Mariateresa Mastromarino