STEFANO BIONDI
Bologna

Di Vaio, l'intervista esclusiva: "Solo Bologna e per sempre" / VIDEO

Chiacchierata a 360° al club manager rossoblù: il nuovo ruolo, la squadra, lo stadio e il mercato. Con una battuta importante su Masina e Diawara BFC Tutte le news

Bologna, Marco Di Vaio intervistato da il Resto del Carlino (Schicchi)

Bologna, 17 dicembre 2015 - Marco Di Vaio, come si sta dietro la scrivania?

«Scomodi. Sembra di essere in panchina. Seduto ci sto il meno possibile. Ogni pretesto è buono per alzarmi».

Dica la verità: nell’anima lei è ancora calciatore. Infatti su ‘whatsapp’ si chiama ex bomber.

«Non è questione di nostalgia. Mia figlia ha scritto ‘bomber’ e io, per realismo, ho aggiunto l’ex».

Anche Donadoni è un ex calciatore, al contrario di Rossi: forse è questo il segreto del Bologna che ha lasciato la zona retrocessione.

«Rossi ha gettato le fondamenta, Donadoni sta tirando su la casa».

Sintesi perfetta, la può arricchire un po’?

«Rossi ha svolto un lavoro molto scrupoloso, forse troppo, sul piano tattico. Infatti le nostre partite peggioravano nel secondo tempo, quando di solito saltano gli schemi. Con Donadoni raccogliamo i frutti dell’esperienza che ha maturato in questi anni e l’anno scorso a Parma in particolare».

Sembra l’allenatore perfetto per questa squadra.

«E’ scrupoloso, esperto, moderno e con il suo staff cura anche il più piccolo dei dettagli».

Con tre punti in classifica, com’erano le sue notti?

«Dormivo, ma sempre più tardi».

Si sentiva responsabile verso Saputo?

«Ognuno di noi lo era, lo è ancora e lo sarà sempre verso Saputo e verso i bolognesi».

Lei Marco in particolare. Se non avesse persuaso Joey, questa sarebbe un’altra storia.

«Gli parlai a settembre dell’anno scorso per elencargli potenzialità e problemi da risolvere, semmai avesse preso il Bologna: questo è stato il mio ruolo».

Saputo aveva dei dubbi?

«Sì, parecchi».

Stabilito che in quella circostanza è stato persuasivo, andiamo avanti: è vero che se Zanetti non avesse pubblicamente rimproverato a Saputo di averlo svegliato dalla pennica, ora racconteremmo un’altra storia?

«E’ vero. Zanetti ha pizzicato le corde dell’orgoglio di Joey».

A Bologna si verificò l’ennesimo e definitivo ‘ribaltone’ ed è così che in questi giorni lei compie un anno nella nuova veste di dirigente.

«Ho vissuto per un anno col fiato sospeso. La mia gavetta è un thriller da raccontare».

Rispolveri il dono della sintesi, per favore.

«La B, l’esonero di Lopez, l’arrivo di Rossi, la promozione ai playoff con una sola vittoria, otto sconfitte in dieci partite, l’esonero di Rossi, l’arrivo di Donadoni e queste quattro vittorie in sei partite: se non è un corso accelerato questo...».

Qual è stata la tappa più faticosa?

«Quella della promozione. Se l’avessimo fallita, il progetto di rinascita del Bologna avrebbe subito un duro contraccolpo».

Ha mai pensato ‘ma chi me l’ha fatto fare’?

«No, mai. Ho sofferto, però mi sono anche entusiasmato».

Lei che ruolo vorrebbe avere in questo processo di crescita?

«Sono ambizioso, perché in questa società mi piacerebbe avere un ruolo per tutta la mia carriera».

Effettivamente non ha chiesto poco.

«Da calciatore ho cambiato tante squadre e da dirigente mi piacerebbe non cambiarne neanche una».

Ha da poco passato l’esame da direttore sportivo, un ruolo precario per definizione, come quello dell’allenatore.

«Sono diesse, d’accordo, ma nel Bologna continuo a fare il Club manager come prima, mica voglio rubare il mestiere a Corvino».

Allora prima o poi dovrà camminare con le sue gambe.

«Più poi che prima. Il processo di crescita avviato da Fenucci e Corvino è entusiasmante e porterà il Bologna lontano. Mi piace essere coinvolto e ascoltato, cosa che succede sempre. Non c’è motivo di scalpitare».

Farà il corso da allenatore?

«Non credo proprio. Dirigente del Bologna va bene e dirigente senza etichette va ancora meglio».

Dove arriverà questa squadra dirigenziale?

«La voglia di crescere e gli stimoli si percepiscono giorno per giorno. La società sta cambiando pelle, la città lo sente e risponde con entusiasmo».

Bologna con le prime fra dieci anni o brucerà qualche tappa?

«So che quando Saputo detta un programma, ha piacere che venga rispettato».

Quindi lei conferma: crescita lenta e progressiva e fra tre anni sostanziale pareggio fra spese e ricavi?

«Confermo e sottoscrivo. Non si potrebbe fare altrimenti. I club come le persone: non si diventa grandi in pochi mesi».

I calciatori, a volte, fanno eccezione: Masina e Diawara, ad esempio. Rimarranno a Bologna?

«E’ presto per sapere cosa succederà la prossima estate, ma l’idea è di cedere un giovane bravo e di reinvestire in altri baby la maggior parte dei soldi incassati».

Tenerseli stretti tutti e due è impossibile?

«E’ difficile. Se arrivassero offerte di ingaggio enormi, noi non potremmo ancora pareggiarle».

Per diventare grandi serve lo stadio, giusto?

«Un nuovo Dall’Ara, ristrutturato con i criteri della modernità, sarebbe il più grande regalo che Saputo possa fare a Bologna e alla sua gente».

Più grande dell’ottavo scudetto?

«Calma. Senza uno stadio invitante quanto la poltrona di casa propria, lo scudetto non si vince».