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di ELIDE GIORDANI
«NESSUN problema. Qui l’applicazione della legge sulle interruzioni volontarie di gravidanza è garantita». Succede così tutti gli anni: la commissione europea per i diritti umani strapazza l’Italia che non sostiene una presenza sufficiente (almeno il 50 per cento) di medici che praticano l’aborto e da Cesena (dove i medici obiettori di coscienza sono oltre il 64 per cento) si smussano gli spigoli. «Nessuno si è mai lamentato - ribadisce la dottoressa Gloria Giacomini, che regge attualmente il servizio di ostetricia e ginecologia del Bufalini - e non ci sono state donne che abbiano dovuto ritardare o rinunciare al diritto all’Ivg». E ciò benché su 14 medici impegnati nel servizio ben 9 abbiano scelto di non praticare l’aborto per motivi etici. Si tratta di una percentuale che supera di 10 punti il 54 per cento della nostra regione e di 14 punti la percentuale nazionale, che non scende però mai sotto il 50 per cento.
E IL CONSIGLIO d’Europa suona l’allarme poiché il numero dei medici obiettori in Italia cresce costantemente costringendo le donne, in casi limite, a rivolgersi al privato o ad aborti clandestini. Cresce, pare, perché se il numero si assottiglia troppo chi non fa obiezione finisce per operare solo aborti. Al Bufalini, ad esempio, l’anno scorso il rapporto tra obiettori e non era di 7 su 14, il 50 per cento. Attualmente, nel nostro ospedale, ci sono dunque solo 5 ginecologi che corrispondono alla richiesta delle donne di interrompere volontariamente una gravidanza, per un totale di interruzione che si attesta intorno alle 250 unità all’anno (erano 317 nel 2011). «Di solito - spiega la dottoressa Giacomini - nella giornata settimanale dedicata all’Ivg abbiamo disponibilità per sei interventi e non sempre si esauriscono i posti». «In effetti le richieste sono in calo - aggiunge la responsabile del servizio -. Nel primo trimestre del 2016 ad esempio, abbiamo effettuato solo 42 interruzioni volontarie di gravidanza». E’ una tendenza progressiva che viene da lontano quella del calo delle Ivg. I motivi sono diversi. «Va di pari passo con la diminuzione delle nascite - elenca la dottoressa Giacomini -. Le generazioni più prolifiche, ossia quelle degli anni ’60, non sono più fertili e quelle successive fanno meno figli. Ma c’è anche un maggiore ricorso ai metodi contraccettivi, che sono diventati più sofisticati ed affidabili». Tra gli altri una nuova spirale intrauterina. «Già oggi ne inseriamo molte in corso di interruzione di gravidanza - informa la dottoressa Giacomini -. Si tratta di spirali piccole, con rilascio di progestinico senza assorbimento sistemico, adatte anche a ragazze che non abbiano ancora avuto gravidanze. Sono scevre da effetti collaterali e dunque raccomandate nelle donne che presentano controindicazioni alla pillola e all’assunzione di estrogeni, come quelle cardiopatiche o che hanno familiarità con trombosi venose».
HA NUMERI risicati al Bufalini, soprattutto rispetto ad alcune realtà vicini come Forlì dove la percentuale va oltre il 50 per cento (mentre i medici obiettori sono il 70 per cento), il ricorso all’aborto farmaceutico con la pillola RU486, la cosiddetta pillola abortiva: nella nostra realtà incide solo del 4 per cento sul totale delle Ivg. «Un percorso ancora non molto sentito» dice a proposito la dottoressa Giacomini. «Forse incidono le tempistiche, visto che se ne può usufruire solo entro le sette settimane». Ma è anche vero che la tecnica richiede un monitoraggio che impegna di più le risorse mediche ed è sconsigliata, in alcuni casi, dagli stessi operatori sanitari.