
di Maddalena De Franchis
"Ed ecco è liscia come un foglio, e grande come la luna": sembra sia stato proprio l’autore di queste righe – il poeta Giovanni da San Mauro, Pascoli appunto – a coniare il termine ‘piada’ italianizzando le varie forme dialettali di ‘piè’ e simili. È uno dei tanti, gustosi, aneddoti che l’attrice e autrice faentina Maria Pia Timo riferisce nel suo libro ’Piada e piadina. Guida sentimentale a chioschi, botteghe e baracchine di Romagna’, in uscita l’8 settembre per la casa editrice Polaris. Un viaggio leggero e appassionato lungo la via Emilia che diventa, pagina dopo pagina, un resoconto antropologico, un commovente album di ricordi e un omaggio a uno dei simboli inossidabili di questa terra.
Timo, com’è nata l’idea di firmare una guida alle migliori piadinerie romagnole?
"Dopo il successo del mio primo libro, ’Vespa Teresa’, desideravo cimentarmi in un altro volume che mettesse insieme l’amore per il cibo e la voglia di raccontare le storie delle persone che incontro. Una guida alle piadinerie non era stata ancora scritta e mi sono detta: perché no?".
Come si è mossa?
"Semplicemente a naso, ma solo dove l’odore era buono: il viaggio è durato 60 giorni, al termine dei quali ho elencato cinquanta realtà che – da Imola a Cattolica – tengono alte le tradizioni gastronomiche locali. Ce ne sono, però, tante altre che meriterebbero di essere menzionate".
Durante il suo viaggio ha scoperto che i primi chioschi di piadina nacquero proprio nel Cesenate.
"A detta degli abitanti di Borello, il primo chiosco apparteneva alla moglie di un minatore di zolfo. Quando le miniere della zona chiusero, ci si doveva inventare qualcosa per sopravvivere: la donna, provetta azdora, in un giorno di mercato andò in piazza a Borello e cominciò a preparare la piada su un tavolino. Qualcuno, inizialmente, la derise: la piada era una tradizione casalinga, nessuno l’aveva mai portata fuori dalle mura domestiche. Ma altre donne, poi, seguirono il suo esempio".
Dalle parti di San Vittore circola un’altra versione…
"Secondo Paola Ceredi, titolare del chiosco di San Vittore di Cesena, il primo chiosco apparteneva a un’ex operaia della fabbrica Arrigoni, che cominciò a cuocere piadine davanti alla chiesa tra lo stupore dei più. La chiusura dello stabilimento avrebbe stimolato tante donne a cercare una nuova occupazione a base di acqua e farina. Arrivavano in città coi pullman di linea e la loro sporta di paglia, con dentro l’impasto, la celebre teglia di Montetiffi e il mattarello. Nasceva così la piadina da asporto".
La storia conosce diverse versioni, come infinite sono le varietà e le ricette che i romagnoli sono riusciti a inventare. C’è un filo rosso che accomuna tutti i piadinari e le piadinare che ha conosciuto?
"Sicuramente l’attenzione alla materia prima: ho visto tanta fatica, turni interminabili, ma anche cura e amore per ciò che si fa. C’è la consapevolezza di essere una parte importante della storia di Romagna: una storia che ognuno di noi ritrova in un piatto, avvolta nella carta che riproduce i motivi delle ruggini romagnole".
In tanti, oggi, la chiamano street food: perché la piadina non passa mai di moda?
"Per gli stessi motivi per cui la si ama da secoli, forse da millenni: è semplice, più rapida da preparare rispetto al pane, poco costosa e versatile. E il suo profumo ci riporta sempre a casa, ovunque noi siamo".