
Il direttore tecnico del Romagna Rfc racconta il suo mondo: dai fari dell’auto accesi per illuminare il campo quando era ragazzo, alla serie A
Nel rugby prima di tutto serve il cuore, tutti gli altri muscoli vengono dopo. Lo si dice sempre, talmente tante volte che la frase ormai è diventata banale, forse addirittura fastidiosa per chi quello sport lo vive in prima linea, in campo o sugli spalti. E’ vera, certo, ma è la buccia sotto alla quale si nasconde la polpa.
Per raccontare la storia di Simone Luci, direttore tecnico del Romagna RFC, serve partire da un campo di periferia, in inverno, quando fa freddo e il sole tramonta in fretta. L’allenamento è finito, il custode spegne le luci dei riflettori e allora c’è chi esce dal campo, avvicina l’auto e accende i fari per tornare a illuminare il prato con le zolle divelte che segnano tante battaglie, vinte o perse. Ma affrontate sempre insieme. E’ lì, illuminata dai fanali accesi nel buio, che sta l’anima del gioco.
Luci è seduto sui gradoni della tribuna del campo di Sant’Egidio e guarda il gigantesco simbolo del galletto giallo su campo rosso che è il simbolo della franchigia.
"Iniziai presto – racconta – seguendo mia sorella. Il primo impatto fu a scuola, in una lezione dimostrativa che mi conquistò subito. Arrivai a nove anni giocando sia a rugby che a calcio, dopo di che i miei genitori mi misero davanti alla necessità di scegliere una strada. Anche col pallone rotondo non me la cavavo male, giocavo in porta…".
Però…
"Però quello ovale mi aveva conquistato. Dunque scelsi il rugby, tra le perplessità di mia mamma…".
Temeva gli infortuni.
"All’inizio mi obbligava ad andare in campo con ginocchiere e paragomiti, iperprotetto contro ogni tipo di urto…".
Cosa la ha rasserenata?
"I miei sorrisi e i miei sguardi dopo ogni allenamento e ogni partita, credo. Ero nel mio mondo, nel posto dove volevo stare. E ci stavo benissimo. Così progressivamente è stata autorizzata l’eliminazione delle protezioni extra…".
La carriera in pillole?
"Cominciai a Ostia e a 17 anni approdai alla Roma. Ricordo i tempi della Top 10 under 21. Poi eccomi in serie C e in B. La prima volta che vidi il campo di Cesena fu in occasione di una finale contro Oderzo. Vincemmo".
Quando si stabilì in Romagna?
"Feci il provino nel luglio del 2007. Qui ho anche conosciuto mia moglie. E’ stata la scelta più importante – e più bella – della vita. Ho giocato fino al 28 ottobre del 2012, quando un infortunio mi ha tolto la possibilità di continuare. Ora gioca mio figlio, che ha 13 anni e deve scegliere tra il calcio e il rugby…".
Il babbo tenta di influenzare? "No… Al limite in maniera velatissima… In effetti non posso dimenticare l’immagine di mio figlio col pannolino e il pallone ovale in mano".
E’ diventato allenatore.
"Ho iniziato dalle giovanili e dal Comitato Regionale dell’Emilia Romagna. Nel 2017 mi venne proposto di allenare la prima squadra".
Andò bene.
"Abbiamo centrato la promozione in A e disputato ottime stagioni. Ho allenato fino a tre anni fa, prima di passare al ruolo di direttore tecnico del polo di formazione".
Parliamo di rugby.
"Il rugby è come la vita. Hai in mano una palla e devi portarla in un punto, che non a caso si chiama meta. La strada più immediata è quella che hai dritto davanti a te: puoi certamente cercare di percorrerla, ma è piena di ostacoli, che non riesci a superare da solo. Ecco allora che vengono in aiuto i sostegni, i compagni e gli amici che sono pronti a darti una mano. Quelli che quando sei in difficoltà, loro ci sono. E che quando sono in difficoltà loro, ci sei tu. Il punto è fare il primo passo: è sorprendente vedere quanta gente è disposta a darti una mano, se la chiedi. I nostri sono valori che se venissero diffusi meglio, ci porterebbero tantissimi nuovi iscritti. ‘Colpa’ nostra, dobbiamo continuare a lavorare per promuovere ciò che facciamo".
Certi approcci sono un marchio di fabbrica.
"Nel rugby non esiste la simulazione. Se vai a terra, il problema è tuo, devi rialzarti e trovare un modo per continuare. Non da solo, ovviamente. Le amicizie che si stringono in questo ambiente diventano un valore aggiunto nella vita. Durano per sempre. Le mie, maturate negli anni, vanno anche oltre i confini nazionali. Basta una telefonata e si è subito tutti lì, pronti a fare quello che serve".
I momenti di difficoltà arrivano sempre, dentro e fuori dal campo. Come li affronta?
"Davanti a una birra, a una pizza o, perché no, a un sushi. Ho colloqui personali con tutti gli atleti, più volte l’anno. Mi interessa sapere come vanno le cose, non per frase fatta, ma perché teniamo tanto ai nostri ragazzi. Che si parli di tattica o di fidanzate, siamo sempre qui. Perché con la testa piena di pensieri si sta peggio, si vive peggio e le passioni si affievoliscono. Tutto si supera, giocando in squadra. Nel rugby non hai protezioni, non indossi caschi, al massimo una cuffia, non metti armature. Entri in campo insieme ai tuoi compagni. Sono loro che pensano a te, quando le cose si complicano".
Che dice dei risultati?
"Giochiamo in serie A da neopromossi e siamo nella parte medio alta della classifica. Bene, sono contento. Anche se abbiamo buttato partite che avremmo potuto vincere… Non importa, fa parte del processo di crescita. Perché in effetti la questione non è voler entrare subito nell’olimpo dei migliori d’Italia, ma di fare un passo alla volta, crescendo insieme. In quest’ottica il lavoro coi giovani e coi vari club della franchigia è encomiabile. Tutti gli staff tecnici partecipano a incontri comuni, curano le modalità di allenamento in maniera omogenea e seguono le stesse linee guida. I fatti dicono che stiamo facendo bene: inseriamo progressivamente sempre nuovi ragazzi nell’orbita della prima squadra del Romagna senza voler togliere niente ai club affiliati ai quali al contrario cerchiamo di ‘dare’ sempre qualcosa in più".
Cesena come vive il rugby?
"La categoria alta nella quale giochiamo è un ottimo volano. La passione si diffonde, la voglia di avvicinarsi a questo sport cresce. Tutti dicono che la disciplina che praticano è la più bella. Normale che sia così. Ma resta un fatto: se dai fiducia al rugby, il rugby ti ripaga sempre. Con gli interessi".