GABRIELE PAPI
Cronaca

‘Galusa’ in testa e cappelletti in tavola

Il cappello tradizionale dei contadini romagnoli ha dato il nome anche alla pasta ripiena .

Contadini di Romagna: schizzo a matita di Tullo Golfarelli, fine ‘800. A fianco: un’immagine inventata. del Passatore

Contadini di Romagna: schizzo a matita di Tullo Golfarelli, fine ‘800. A fianco: un’immagine inventata. del Passatore

Il cappelletto tipico dei contadini romagnoli d’un tempo: cappelletto nel senso di berretto, copricapo. Era detto ‘galosa’, parola registrata anche nei buoni dizionari d’italiano ma oggi uscita di scena. L’abbiamo ritrovato in una felice raffigurazione, uno schizzo di studio tratteggiato da un valente artista cesenate, lo scultore Tullo Golfarelli (Cesena 1852 - Bologna 1925). La ‘galosa’ era una berretta economica: realizzata, spesso dalle donne di casa, con bavella (seta di minor pregio) e lanetta. Con cocuzzolo appuntito e orlo rimboccato di quattro dita per proteggere fronte e orecchie dal gelido vento di bora, capace di stecchirti come un baccalà. Ottimo e caldo copricapo invernale. Linea d’abbigliamento semplice ed essenziale: tanto che oggi ritroviamo la medesima foggia nei moderni berretti (in ‘pile’ o materiali idrorepellenti) prediletti da alpinisti, sciatori e escursionisti. A conferma che aveva ragioni da vendere Oscar Wilde quando diceva acutamente: cos’è la tradizione? E’ un’innovazione ben riuscita. Più che probabile che questo antico copricapo abbia dato il nome anche ai gloriosi cappelletti in brodo ‘all’uso di Romagna’, secondo la corretta definizione di Pellegrino Artusi: proprio per la caratteristica di questi cappelletti con cocuzzolo particolarmente panciuto (di ripieno). Infatti, l’Artusi nella ricetta n. 7 del suo manuale raffigura con precisione la circonferenza di sfoglia di ognuno dei nostri cappelletti: per distinguerli a dovere dalle minori dimensioni dei tortellini o di altri cappelletti che si fanno anche altrove, com’è giusto che sia.

La ‘galosa’ era dunque il berretto caratteristico dei contadini, dei cacciatori. Ed anche dei briganti. Il Passatore e i suoi compagni di ribalderie non hanno mai portato il cappello conico, intrecciato ‘a pan di zucchero’, tipico invece dei briganti calabresi. Quella ‘pirucca’ fu poi messa in testa al Passatore da un infelice marketing a fini commerciali nei recenti anni ’70. ‘Brigante si, ma pataca no’: il probabile ed immaginario commento del Passatore se avesse saputo dello strano cappello affibbiatogli. Tornando a berrette non brigantesche ma pacifiche era in auge anche la ‘papalina’, la berretta di lana da portare in casa d’inverno. Oggi abbiamo il riscaldamento in ogni stanza: un tempo non era per niente così. ‘Papalina’ è parola ironica ancora corrente, riferita soprattutto alla berrette per bambini. Infine un cenno veloce al concittadino scultore Golfarelli, il cui schizzo ha dato l’abbrivio al nostro’ pezzo’. Le sue opere continuano a farci compagnia. Ad esempio, per citarne alcune, i medaglioni del ‘pantheon’, la galleria dei cesenati illustri che campeggia sulla facciata del Palazzo degli Studi già liceo classico ‘Monti’, oggi ala moderna della nostra Malatestiana. E per rimirare l’attenzione ai particolari di Golfarelli, figlio di un orafo: quando siete a Cesenatico ridate un’occhiata al suo bel monumento di Garibaldi, realizzato nel 1884. Opera d’arte non retorica con l’Eroe dei Due Mondi raffigurato in modo pensoso, mente guarda il mare: avvolto tra le pieghe (ben delineate) del suo leggendario ‘poncho’, il mantello sudamericano che lasciava ampia libertà di movimenti.