Una tempesta in una tazzina di caffè: è l’effetto scatenato dalle dichiarazioni che l’amministratrice delegata del colosso Illycaffè, Cristina Scocchia, ha rilasciato a margine di un suo intervento al Meeting di Comunione e liberazione, in corso in questi giorni a Rimini. L’ad ha infatti parlato di un possibile aumento della tazzina di caffè al bar "fino a 2 euro", a causa delle quotazioni in costante rialzo della materia prima – il caffè verde – su cui gravano gli effetti devastanti del cambiamento climatico, da un lato, e quelli della crisi del canale di Suez, dall’altro. "Oggi il caffè verde costa 245 cents per libbra: il 66% in più dell’anno scorso, oltre il doppio rispetto a 3 anni fa – ha argomentato Scocchia -. Questo ci spiega perché, in 3 anni, il costo della tazzina del caffè che beviamo al bar è aumentato del 15%, e ora costa, in media, 1,50 euro in Italia. Si stima che aumenterà ancora e possa arrivare a toccare i 2 euro già nei prossimi mesi, se le pressioni rialziste sul costo della materia prima continueranno". Abbiamo chiesto alle associazioni di categoria e ad alcuni noti esercenti cesenati se condividono questa analisi e se ritengono davvero imminente l’escalation paventata da Scocchia. "Comprendiamo che i costi di produzione siano in crescita – dice Federico Campori, coordinatore Confesercenti Cesena - e che le aziende debbano adeguarsi, ma un incremento fino a 2 euro per la tazzina potrebbe trasformare un prodotto tradizionalmente accessibile in un lusso per molti consumatori. In un territorio come il nostro, dove il caffè è parte della cultura e della socialità, un aumento eccessivo potrebbe avere ripercussioni non solo sulle abitudini dei cittadini, ma anche sui piccoli esercizi commerciali, che risentirebbero di una riduzione della domanda. È fondamentale trovare un equilibrio in grado di sostenere le imprese, senza tuttavia penalizzare i consumatori e il tessuto sociale del territorio". Secondo Angelo Malossi, presidente di Fipe Confcommercio Cesena, "l’eventualità di un caro tazzina è già nell’aria da mesi: i grandi produttori di caffè stanno invitando le attività a un adeguamento, poiché non si prevede che la corsa della materia prima si arresti a breve. La resa dei conti avverrà a fine anno: non mi aspetto un aumento fino a 2 euro, ma dell’ordine di 10, 20 centesimi, sì". Malossi aggiunge che è proprio il bar tradizionale a pagare il prezzo più alto della ‘tempesta perfetta’, dovuta sia ai rincari generalizzati, sia ai costi della manodopera: "di questi tempi riescono a sopravvivere, a fatica, solo i locali a gestione familiare. Ecco perché, nel nostro Paese, ci ritroviamo con 10.000 chiusure di attività all’anno: sono i numeri, drammatici, di una desertificazione".
Di costi sempre più pesanti parlano sia Nicola Pozzati, titolare del Chiosko Giardino Savelli, in viale Carducci, sia Luciano Pistocchi, che da 35 anni gestisce lo storico bar Tiffany, in via Cesare Battisti. Entrambi, però, escludono decisamente che la tazzina raggiunga i 2 euro, poiché si finirebbe per allontanare i clienti. In particolare, Pistocchi spiega che il caffè, contrariamente a quanto si possa pensare, non rappresenta certo un’ingente fonte di guadagno per un’attività, anzi. "A meno che non si servano 500 tazzine al giorno – precisa – il caffè è quasi una perdita: nell’1,30 euro di una tazzina sono compresi i costi del macchinario (che dev’essere cambiato ogni 6-7 anni), quelli della lavastoviglie, quelli delle miscele di qualità, il tempo necessario per la macinazione e la preparazione, il costo del servizio. Non è certo come vendere una lattina, o una bottiglietta d’acqua. Lo scriva, la prego: alcune persone pensano che siamo noi baristi a voler ‘approfittare’ della crisi. La verità è che il nostro margine è ormai ridotto all’osso".
Maddalena De Franchis