
Alcune gentili lettrici ci chiedono di ricordare, che significa tornare con il cuore, alle donne dell’Arrigoni, la più importante fabbrica con sede a Cesena, rinomata in campo nazionale: un gran pezzo della nostra storia recente durante buona parte del 1900. Nei momenti della sua maggior espansione, fine anni trenta e primi anni quaranta del secolo scorso, l’Arrigoni cesenate (specialista in marmellate, frutta sciroppata, conserve di pomodoro, ortaggi e zuppe di verdura essicate) dava lavoro a circa 4500 addetti, di cui la maggioranza, stagionali comprese, erano 2500 donne. L’altra metà del cielo operaio. L’incremento occupazionale dell’Arrigoni, industria conserviera di Trieste scesa a Cesena nel 1929,era via via cresciuto negli anni non tanto per il mercato nazionale interno quanto per le importanti commessi ricevute dall’esercito italiano e anche dall’esercito tedesco. Le operaie erano pagate meno degli uomini: ma avere un lavoro, o mesi stagionali di occupazione, era gran cosa per i magri bilanci di gran parte delle famiglie di Cesena e dintorni in quegli anni difficili.
Già allora i prodotti Arrigoni erano apprezzati e desiderati. Ma, come sempre, bisogna stare attenti a non a cadere nella tagliola zuccherosa della nostalgia. Ad esempio: la lavorazione dei pomidoro pelati avveniva in condizioni allora ritenute normali, oggi inaccettabili. I pomodori, sbollentati a 70° gradi, giungevano in canalette d’acqua quasi bollente davanti alle operaie che toglievano la guaina, la pelle, agli ortaggi: pelandoli uno ad uno per ore e ore. Senza guanti: a mani nude, soltanto protette sino all’avambraccio da una spalmata di silicone idrorepellente, in un ambiente saturo di umidità e di calore artificiale e insano, foriero di future artrosi. 1941: uno sciopero spontaneo di 250 donne del reparto “Naturali” spiazzava l’azienda e il regime. Tra i buoni motivi: il basso salario, la cattiveria delle sorveglianti, la decisione aziendale di raddoppiare il prezzo di un kg. di marmellata al mese a costo di fabbrica, piccola dote agli operai (impiegati raccomandati e dirigenti potevano prendere dai sei ai dieci kg). Quello sciopero sarà l’anteprima di altre importanti mobilitazioni operaie nel biennio successivo.
L’Arrigoni, come altre fabbriche del Nord Italia, malgrado retate, delazioni e repressioni diventava caposaldo della Resistenza. L’azienda cesenate bloccava i suoi macchinari nell’agosto 1944, due mesi prima del passaggio del fronte e la Liberazione di Cesena. Le maestranze riuscirono a salvare dall’ira dei tedeschi in ritirata buona parte dei macchinari che saranno riattivati un po’ alla volta già nell’aprile del 1945, dapprima come pastificio. Memorabile l’inventiva dei tecnici e la maestria degli artigiani cesenati che elaborarono i pezzi di ricambio, introvabili, da componenti dei residuati bellici lasciati nelle campagne. Allo stesso modo nelle case cesenati le donne “rivoltavano” e ricucivano vestiti e indumenti con le macchine da cucire a pedale. E sarte ingegnose ricrearono per qualche matrimonio vestiti da sposa ricavati dalla seta dei paracadute lasciati nei campi dopo i lanci. La guerra era davvero finita.
Gabriele Papi