LUCA RAVAGLIA
Cronaca

Lucchi "Niente contagia più della passione"

Il tecnico del Volley Club, con un passato tra serie A, nazionale e olimpiadi, racconta il suo mondo: da Cesenatico all’olimpo

Il tecnico del Volley Club, con un passato tra serie A, nazionale e olimpiadi, racconta il suo mondo: da Cesenatico all’olimpo

Il tecnico del Volley Club, con un passato tra serie A, nazionale e olimpiadi, racconta il suo mondo: da Cesenatico all’olimpo

"Perché alleno? Perché voglio creare passione. Una passione come quella che fin da quando avevo 16 anni ha reso la pallavolo una parte fondamentale della mia vita". Riguardo agli anni, Cristiano Lucchi ora va per i 48, ma lo spirito è ancora quello di un ragazzo. Un ragazzo innamorato. Della vita, del volley, delle emozioni e dell’adrenalina che si accende ogni volta in cui la palla inizia a volare. Lo vedi dagli occhi che brillano mentre seduto sulla tribunetta del Minipalazzetto, racconta il suo mondo. E’ l’allenatore del Volley Club Cesena, società per conto della quale è al timone della prima squadra femminile che milita in B1, coordinando allo stesso tempo un vivaio che conta complessivamente circa mille tesserati.

Lucchi, da dove partiamo? "Dal mio soprannome, per forza. Sono ‘Gancio’ e lo sono per via del mio modo di giocare a beach volley sulla spiaggia della ‘mia’ Cesenatico. E’ da lì che tutto è cominciato". Dalle estati in riva al mare? "Se sei cresciuto in riviera, non c’è altro posto dove vuoi stare. Amavo lo sport e giocare sotto rete mi ha subito conquistato. Per arrivare alla palestra il passo è stato breve e così sono entrato a far parte delle giovanili della squadra di pallavolo di Cesenatico".

Fece carriera in fretta. "Mi presero a Ravenna e lì si spalancarono le porte di un altro mondo. Basta un nome: Marco Bonitta. Facevo parte del vivaio di una società zeppa di campioni, che lo erano già o che lo sarebbero diventati. Ho vinto due scudetti nel settore giovanile". Da senior ha viaggiato molto, collezionando anche tanta A: Bolzano, Forlì, Ferrara, Bologna… "Mi sono tolto soddisfazioni, godendomi ogni momento, non solo del gioco, ma di tutto il mondo del volley. Certo, ci sono state esperienze più gratificanti e altre che mi hanno deluso, ma fa parte del gioco. Non ho rimpianti, anzi. In ogni contesto sono sempre riuscito a imparare qualcosa".

Quando ha pensato di poter allenare? "Probabilmente lo ho sempre saputo. Serve un approccio completamente diverso rispetto a quello dell’atleta, che va in campo e deve pensare a se stesso. Un tecnico deve avere il controllo su tutto. Non semplice, ma bellissimo. Già da quando giocavo ancora provavo a entrare nell’ottica di chi sta alla lavagnetta. La mia prima esperienza è stata alla Zanella Bologna. Ero ancora un atleta, ma divenni pure il tecnico dell’Under 14. Da lì sono passati ragazzi che poi sono diventati campioni".

Anche lei non può lamentarsi. "Pronti via e mi chiama Marcello Abbondanza come suo vice della femminile a Villa Cortese in A. Poi Ravenna, con Bonitta, la maschile e la Superlega". Seguono l’ingresso nello staff della nazionale maggiore femminile e il ruolo di coach del Club Italia. "Ho allenato atlete come Egonu, Orro, Danesi… Si vedeva che avevano la stoffa delle stelle". Campionesse da oro olimpico al collo. Ha ancora i numeri di telefono? "Ci sentiamo in occasione degli appuntamenti importanti. Parigi compresa, ovviamente. Tra noi è rimasto un ottimo rapporto di stima reciproca. Sono orgoglioso di aver fatto parte di quel gruppo".

E’ andato pure le olimpiadi. "A Rio. Risultato rivedibile, uscimmo subito. Ma lo facemmo con una squadra, guidata da Bonitta, nella quale la transizione stava arrivando a grandi passi. E arrivammo a quell’appuntamento grazie a una gara stellare nel preolimpico, contro la Turchia". Racconti. "Eravamo sotto 2-0, un altro set perso e saremmo tornati a casa. Niente Rio. Invece nel terzo cambiò tutto, entrarono le nostre giovani, che erano ancora giovanissime, ma che ci misero il cuore. Vincemmo 3-2. Conservo ancora, in un quadro, le pagine dei giornali".

Perché Cesena? "Il progetto del Volley Club è elettrizzante. Lavorare col settore giovanile è la cosa che amo di più, perché mi permette di accompagnare le atlete nella loro crescita. Il tutto senza trascurare la prima squadra, che da due anni è stabilmente ai piani alti della B1". Meglio prendersi la A2 o vincere un campionato giovanile? "Perché scegliere? L’obiettivo è migliorare su entrambi i fronti. Lo stiamo facendo".

Come? "Quando hai un vivaio di 800 atlete è legittimo aspettarsi che da lì arrivi progressivamente lo zoccolo duro della prima squadra. Composto da giocatrici di alto livello. Lavoriamo congiuntamente coi tecnici per uniformare le linee guida". Qual è lo spirito? "Prima impari, più quello che hai imparato ti resta impresso nel modo di giocare. Per crescere servono tanti allentamenti e tante partite, almeno 40-50 all’anno. Per questo i nostri gruppi partecipano anche a due campionati per ogni stagione. Aggiungendo almeno tre o quattro allenamenti settimanali".

E’ tanto. "E’ quello che serve". E’ circondato da donne. "Prima di tutto a casa… Sono papà di due femmine. Ed è una meraviglia. Lo è anche in campo. Per allenare una donna l’aspetto psicologico è fondamentale, il che non vuol dire che l’urlaccio non possa scappare, anzi. Il punto fondamentale è il rispetto, abbinato alla fiducia reciproca. Quando un’atleta sente di avere la tua fiducia e si sente integrata appieno nel progetto sportivo, mette in campo il massimo e anche di più, con un spirito molto difficile da trovare tra gli uomini. E’ una sfida continua, ma è meraviglioso".

Il volley è cambiato? "Tanto. Come tutto. Ogni giorno studio nuove cose e le metto alla prova in allenamento. A volte funzionano, altre no. E’ tremendamente stimolante". Cosa deve avere un allenatore più di tutto? "Passione. Perché la passione è la cosa più contagiosa che esiste".