GABRIELE PAPI
Cronaca

Quando la città fu messa a ferro e fuoco

Un libro riporta nuova luce sul ‘Sacco dei bretoni’, il massacro a opera dei predoni, avvenuto nel 1377. Sul campo spie, soldati e voltafaccia

di Gabriele Papi

"Non sono in grado di descrivere la grande barbarie che hanno compiuto a Cesena: non la commise neanche Nerone". Da una cronaca medioevale bolognese a proposito della strage che mise a ferro e fuoco la nostra città nel febbraio del 1377 trucidando alcune migliaia di cesenati che avevano osato ribellarsi ai predoni: fu il cosiddetto sacco dei bretoni, comandato dallo scellerato cardinale Roberto da Ginevra (poi antipapa) e perpretato da mercenari bretoni rafforzati nell’occasione dagli specialisti dell’inglese John Hawkwood, italianizzato in Giovanni Acuto, e del capitano di ventura Almerigo da Barbiano.

Riparliamo della pagina più tragica della storia antica della nostra città in virtù d’un recente saggio: ‘Giovanni Acuto, un mercenario nell’Italia del Trecento’, dello storico americano William Caferro, traduzione e cura di Leardo Mascanzoni docente di storia medioevale all’Università di Bologna.

Il libro, che sa unire rigore e divulgazione (volendo è in biblioteca) porta nuovi squarci di luce, spesso sorprendenti, sul massacro di Cesena. Ad esempio, il De Casu Cesenae (Sul caso di Cesena), condanna del massacro da parte del notaio Ludovico di Romano da Fabriano fu una delle prime proteste letterarie in Europa sugli eccidi di civili. Inoltre le molteplici testimonianze contemporanee sul macello di Cesena, ad opera di cronache bolognesi, riminesi, forlivesi, senesi, milanesi ed altre rivelano in controluce un altro aspetto poco noto: l’uso già allora da parte di città e stati di informatori (inviati, mercanti, notai) quasi al modo di agenti segreti.

Un modo per studiare e prevenire le mosse del papato e delle città rivali nell’inquieta e ribollente Italia del Trecento, brodo di coltura delle nascenti compagnie di ventura (prototipo degli odierni mercenari che oggi si chiamano contractors) pronte ad offrirsi al miglior offerente, pronte a ricatti in cambio di non aggressione e pronte anche a cambiar bandiera in caso di miglior offerta: la parola soldato viene etimologicamente da soldo, assoldare.

Proprio l’inglese Giovanni Acuto fu allora il capitano più richiesto d’Italia. Approdato nella nostra penisola negli anni sessanta del Trecento portò, dalla Guerra dei Cent’Anni tra Inghilterra e Francia, portò nuovi metodi e tecniche di guerra, tra cui l’arco lungo inglese, il doppio di gittata e di potenza rispetto agli altri archi: la serrata sequenza delle frecce scoccate da abili arcieri era in grado di sbaragliare una carica a cavallo.

Malgrado il sordido caso di Cesena Giovanni Acuto, furbo come la volpe, ebbe modo di combattere oltre che per il papa, per Pisa, per Milano, per Padova e infine per Firenze che quasi lo venerò. Superò tutti i suoi colleghi per abilità nel procurarsi ingaggi e ricchezze. Ricchezze che non dilapidò ma che investì nella sua Inghilterra acquistando terre e possedimenti, approfittando dell’innovazione italiana delle cambiali (lettere di cambio) usate dai banchieri internazionali d’allora per trasferire somme di denaro a grandi distanze, con provvigioni e speculazioni sul mercato monetario. Nella storia antica ci sono storie molto attuali.