
Rino Foschi lancia accuse in aula: "Non ho fatto nulla e sono in croce"
Ci sono le plusvalenze realizzate fittiziamente con le ‘operazioni baciate’, cioè lo scambio di giovani calciatori per milioni di euro che si neutralizzavano vicendevolmente, tra Associazione Calcio Cesena e Associazione Calcio Chievo Verona sotto la lente d’ingrandimento del collegio giudicante del Tribunale di Forlì presieduto da Marco De Leva. Ieri pomeriggio, nella quinta udienza del processo per la bancarotta dell’Ac Cesena, è ricominciata la sfilata dei giovani calciatori e dei loro genitori che erano protagonisti dei trasferimenti sull’asse Cesena-Chievo ganerando inconsapevolmente plusvalenze milionarie (i contratti di cessione contenevano cifre milionarie che venivano aggiunte dopo la firma e non comunicate agli interessati) destinate a puntellare un castello di carta sempre più fragile rappresentato dai bilanci di Ac Cesena e Ac Chievo Verona che avevano bisogno di iniezioni (fittizie) di milioni per superare i parametri fissati per poter continuare a svolgere l’attività sportiva a livello professionistico. Peraltro il gioco diventava sempre più pesante col passare degli anni, come testimonia il fatto che entrambe le società sono fallite, e quella veronese ha trascinato nel baratro anche la Paluani, fiorente industria dolciaria che controllava la società calcistica. Luca Campedelli, che era al vertice di entrambe le realtà, è l’unico imputato che segue tutte le udienze, stando in silenzio accanto al proprio avvocato difensore.
Ieri in aula c’era anche un altro imputato, l’ex direttore sportivo dell’Ac Cesena Rino Foschi che è stato protagonista di un movimentato siparietto che ha costretto il giudice De Leva a redarguirlo più volte. A far saltare la mosca al naso a Foschi è stata la testimonianza della mamma di Nicola Andreoli, uno dei tanti giovani lanciati sull’asse Cesena-Verona. La donna ha detto sotto giuramento che al tavolo in cui furono firmati contestualmente i contratti di cessione a titolo definitivo del calciatore dal Cesena al Chievo e poi in prestito dal Chievo al Cesena c’erano Luigi Piangerelli, responsabile del settore giovanile del Cesena, Alberto Bergossi che fungeva da procuratore del giovane, e Rino Foschi. Immediata la reazione di quest’ultimo: "Non è vero, io ero nel mio ufficio!". Ma la donna ha confermato la sua versione, pur specificando che Foschi non aveva avuto alcun ruolo nell’espletamento della pratica, e Foschi si è arrabbiato ancora di più: ha puntato il dito contro il pubblico ministero Francesca Rago gridando: "Io non ho fatto niente, sono in croce da tre anni per non aver fatto niente e quando l’ho detto, lei mi ha suggerito di patteggiare!". Inutili i tentati dei suoi avvocati difensori Mattia Grassani e Massimiliano Iovino, e del presidente De Leva di ridurlo alla calma: "Cosa patteggio che non ho fatto niente? I ladri sono altri, Lugaresi e il commercialista" ha gridato avviandosi all’uscita. Poco dopo Rino Foschi si è calmato ed è tornato in aula seguendo il resto dell’udienza nel settore riservato al pubblico.
Nella prossima udienza, programmata il 19 marzo, verrà sentito come testimone il colonnello Gabriele Sebaste che condusse le indagini sul fallimento dell’Associazione Calcio Cesena.