GABRIELE PAPI
Cronaca

Storia di rane tra tavole e favole, la caccia crudele per mangiare

In tempi di miseria è stata un’importante risorsa e venivano catturate con una fiocina fatta in casa

Rana verde e lo ‘strocc’ per la loro caccia in altri tempi

Rana verde e lo ‘strocc’ per la loro caccia in altri tempi

Cesena, 10 agosto 2025 – Storie di rane: a tavola, ma non solo. Menù a base di rane compaiono ancora nei menù di alcune feste di partito e in alcuni locali della ‘bassa’: omaggio, con rane d’allevamento, a tradizioni mangerecce di ieri. Rassicuriamo subito i lettori vegetariani: non abbiamo intenzione di istigare al consumo di rane fritte o in altri intingoli. Raccontiamo soltanto -com’è costume di questa rubrica dedicata a vicende del quotidiano e storie inconsuete che altri non raccontano- che la rana in passato, in tempi di miseria, è stata importante risorsa alimentare per molta gente della ‘bassa’ (mica solo in Romagna): perché un tempo le rane erano più che abbondanti nelle zone umide, non difficili da pigliare e dunque a buon mercato. Tanto da apparire, come sfizio goloso, persino nelle tavole dei ricchi: non a caso la ‘bibbia’ laica della gastronomia italiana, ovvero il manuale di cucina di Pellegrino Artusi, dedicava alle rane due ricette: la 503, ranocchi in umido, e la 504, ranocchi alla fiorentina. Del resto questo triste destino delle rane era già scritto nel nome scientifico della rana verde, o rana comune (sono vari i tipi di rane e di rospi): ‘rana esculenta’. Esculenta, in latino, vuol dire buona da mangiare, faccenda nota dall’antichità. Ma queste sono storie di ieri. Oggi rane e anfibi, come specie, se la passano piuttosto male: non solo a causa dei predatori ma anche e soprattutto delle gravi alterazioni ambientali.

Già mezzo secolo fa il naturalista romagnolo Alberto Silvestri nelle sue ‘Osservazioni di zoologia romagnola’ avvertiva che le rane, un tempo abbondanti, erano già allora in declino causa inquinamento dei corsi d’acqua, cementificazioni, pesticidi: le rane sono formidabili predatrici d’insetti. Inoltre, sino a quaranta anni fa, fa le rane non godevano in termini di legge di alcun tipo di tutela: potevano dunque essere cacciate in ogni tempo e con ogni mezzo. Tra di questi mezzi arcaici c’era lo ‘sfrocc’, una fiocina casalinga, un pomello con sottili aculei di ferro innestato su una lunga canna: lo vedete nella foto (tratta dal curioso libro di oltre trent’anni fa ‘Saline… E cacciatori poveretti' di Ermes Ricchi, di Castiglione di Cervia). Andava così: stiamo parlando degli anni a cavallo della seconda guerra mondiale, prima e subito dopo. Nelle notti senza luna il cacciatore di rane, con la lampada a carburo e lo ‘sfrocc’ batteva le sponde di canali, stagni e maceri seguendo il suono del gracidare ranocchiesco: la luce abbagliava le rane (che altrimenti sarebbero saltate in acqua), le immobilizzava per poterle infilzare e subito riporle nella ‘ranucèra’ (un sacco) a tracolla del cacciatore. Robe crudeli, oggi vietate: ma quelle caccie, allora, non erano capriccio ma un modo per arricchire di qualche carne le mense altrimenti povere. E occasione per tirare su qualche soldo, rivendendole. Infine: non solo caccie e fiocine. Le rane hanno dato vita a storie e favole sin da tempi lontani: basti pensare a Esopo o Fedro. E hanno ispirato anche un antico poema dei tempi d’Omero: la ‘Batracomiomachia’, che in greco significa la battaglia tra rane e topi: parodia della gesta degli eroi (Achille, Ettore, Aiace) dell’Iliade. Poema satirico che ha intrigato e ispirato fior di poeti quali Giovanni Pascoli e Giacomo Leopardi.