
Violenza sulle donne
Cesena, 12 maggio 2016 - Vent'anni di violenze sessuali, anche di gruppo, con un paio di aborti clandestini, dall’età di 4 anni fino ai 24, potrebbero costare 15 anni di reclusione al padre della vittima, che oggi ha 35 anni. Questa, infatti, è la richiesta che il pubblico ministero Maria Gabriella Tavano della Procura distrettuale di Bologna ha presentato alla Corte d’Assise di Forlì nella giornata di ieri, al termine della requisitoria nella quale ha ripercorso l’agghiacciante vicenda, la denuncia con la quale è stata portata alla luce dopo anni di buio, e le complesse indagini che non hanno consentito di trovare molti riscontri a causa del lungo tempo intercorso tra i fatti e la denuncia.
Il processo è iniziato il 29 gennaio scorso e subito c’è stato un colpo di scena poiché sul banco degli imputati, insieme al padre, c’erano quattro zii paterni, la zia e sei amici del padre, ma l’accusa di violenza sessuale è caduta in prescrizione, per cui è rimasta in piedi solo quella di riduzione in schiavitù nei confronti del padre che ora ha 58 anni ed è difeso dall’avvocato Antonio Zavoli di Rimini. Gli altri, tra i quali alcune persone molto in vista, scivolano fuori dal processo.
Nell'aula della Corte d’Assise di Forlì, vietata al pubblico per riguardo alla vittima, motivo per cui non pubblichiamo i nomi dei protagonisti, è stata vivisezionata la complessa vita della ragazza: prima il diploma e un anno di università, poi l’abbandono improvviso, per andare a studiare Scienze religiose.
Dopo una relazione di cinque anni con un giovane (anche lui molto religioso), la ragazza decide di ritirarsi in un convento e per cinque anni rimane isolata dal mondo. Nel 2010, dopo aver chiuso l’esperienza monastica, si presenta dai carabinieri insieme alla madre. Dice di non aver presentato denuncia fino ad allora perché aveva perso la memoria, ma che i ricordi sono emersi grazie all’opera di alcuni frati incaricati del supporto psicologico alle Clarisse del convento.
Racconta notti di violenze da parte del padre, degli zii e dei loro amici. Ripete spesso la frase di questo presunto padre-orco durante le violenze: «Ora fai la brava». Parla di migliaia di filmini, fotografie e molto altro, di orge omosessuali tra gli stessi famigliari. Ma questo materiale non viene trovato nei sopralluoghi e nelle perquisizioni che hanno punteggiato i tre anni di indagini. Al processo, però, due consulenti tecnici hanno confermato di aver trovato traccia di almeno un aborto.
Ieri pomeriggio hanno parlato, ribadendo la richiesta di condanna del pubblico ministero, gli avvocati di parte civile Luca Moser di Modena e Chiara Rodio di Bologna che tutelano rispettivamente la vittima degli abusi e la madre. Tra due giorni, giovedì, sarà la volta dell’avvocato Antonio Zavoli in difesa dell’imputato. La sentenza è prevista entro poche settimane.