Insieme per la vita. Pure sul tetto del mondo

Andrea Domeniconi e Carolina Curcio, marito e moglie, hanno concluso l’Everest Trail Race, 170 chilometri con 26.000 metri di dislivello

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di Luca Ravaglia

Per spiegare basta poco: 170 chilometri da coprire a piedi, spalmati in sei tappe, con un dislivello di 26.000 metri tra salite e discese e un panorama che c’è solo lì. Perché lì si è in Nepal, sul tetto del mondo, a scarpinare tra i 2.500 e i 4.000 metri. Benvenuti all’Everest Trail Race, una corsa per pochissimi, che nella sua decima edizione appena conclusa ha visto cimentarsi appena 35 partecipanti arrivati da ogni angolo del pianeta. Cesena compresa. Già, perché dall’arrivo sono passati pure Andrea Domeniconi e Carolina Curcio, marito e moglie appena rientrati in Romagna.

Domeniconi, come è nata l’idea?

"Ci piacciono la natura e le grandi sfide: basta dire che abbiamo festeggiato il matrimonio scalando il Monte Bianco… Mesi fa mentre partecipavo alla Marathon des Sables in Marocco, un altro concorrente, mi aveva parlato di questa esperienza. Ho subito coinvolto anche Carolina".

E’ passato dal deserto alle montagne più alte del globo.

"In effetti trovarsi a certe altezze non è affatto banale, come non è banale dover fare i conti con temperature che arrivavano fino a 13 gradi sotto zero".

Itinerario?

"A Katmandu abbiamo incontrato il resto del gruppo e siamo saliti su un bus che con un viaggio tremendo ci ha portato via dallo smog, fino al punto di partenza. Lì è cambiato tutto".

L’ambiente?

"Il panorama è incredibile, impossibile da descrivere. Così come l’accoglienza delle comunità locali, che vivono in povertà estrema, ma che non perdono mai il sorriso. Per capire il valore della felicità incontri come quelli insegnano davvero tanto".

Poi, scarpette ai piedi e via.

"Le tappe erano di una trentina di chilometri l’una, con 12 ore di tempo per portarle a termine. Si poteva partire alle 7 o alle 8 di mattina, dopo aver fatto colazione tutti insieme. Noi sceglievamo di metterci in moto presto: arrivavamo generalmente nel primo pomeriggio, pranzavamo e andavamo a riposarci".

Dove?

"In tenda. In ogni punto d’arrivo trovavamo già tutto pronto, pasti compresi. L’organizzazione è eccezionale".

Momenti difficili?

"Sono capitati solo a me, in una tappa che ho portato a termine in nove ore e mezza. Mi ero portato un sacco a pelo troppo leggero e di notte i primi giorni avevo davvero freddo. Per fortuna le ultime tappe prevedevano arrivi in strutture in muratura, non riscaldate, ma comunque con qualche grado in più. In ogni caso niente di insormontabile: entrambi ci simo goduti appieno questa incredibile esperienza". Serve forte spirto di adattamento.

"L’acqua per lavarsi non è sempre presente e bisogna essere ‘spartani’. Ma quello che davvero serve, non manca".

E ora?

"Si studia il prossimo viaggio. Tocca a scegliere a Carolina e io sono pronto a seguirla ovunque.. sussurrando magari un’idea: l’Islanda".