Coronavirus A14, un giorno in trappola nei controlli

Posto di blocco fra Forlì e Cesena. Centinaia di vetture dirottate in autogrill. Il racconto del nostro giornalista ’prigioniero’ nell’ingorgo

Controlli in autostrada

Controlli in autostrada

Cesena, 2 aprile 2020 - Il display luminoso sull’A14 lampeggia un messaggio sospetto ‘Code per due chilometri tra Forlì e Cesena Nord’ affiancato dall’immancabile disegnino della colonna. Lo noto per la prima volta all’altezza di Bologna inoltrata, sono entrato al casello autostradale di Modena Sud verso le 8 per un tragitto lavorativo che da tempo mi porta a Cesena. Il pensiero è istintivo: difficile che si possa trattare di un incidente, il traffico è scarso, diversi camion, un po’ di auto. Sì, penso subito ai controlli stradali per l’emergenza sanitaria. Me lo suggerisce l’esperienza, sono stato fermato altre volte sul percorso verso il giornale ma mai in modo così massiccio.

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E resto dell’idea che tutto sia indispensabile per cercare di vincere una dura partita collettiva contro il virus dove ognuno deve segnare il proprio gol. Il sospetto diventa certezza quando, poco dopo Forlì, anche il passo d’uomo per lunghi tratti è utopia. Si è fermi, incolonnati. Qualcuno scende dai mezzi e inizia a vociferare che ci siano i controlli: noto però persone tranquille, poca confusione. In molti hanno capito che sono necessari per la salute e il futuro di tutti. Intanto sulla corsia nord si procede regolarmente.

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Subito alcuni addetti dell’autostrada (rigorosamente con mascherina) sventolano le bandiere rosse indirizzando le auto sulla prima corsia, mentre i camion vengono convogliati all’esterno in una carreggiata ristretta dalla segnaletica. Poi una pattuglia della polizia stradale fa segno ad ampi gesti ai mezzi pesanti e ai furgoni di accelerare sull’unica corsia rimasta libera, per loro niente stop forzato. La strategia diventerà palese in un secondo momento ma l’intuizione era già scattata.

Solo auto quindi, così dopo circa un’ora e mezzo vengo indirizzato nell’area di servizio del Bevano Ovest. Lì è organizzato il posto di blocco; c’è silenzio, ordine, sei vetture della polstrada parcheggiate, una decina di agenti divisi in quattro, cinque gruppetti di due addetti ciascuno dove scattano gli accertamenti. Le operazioni dirette da una donna, energica, decisa. Sono tutti cortesi, ma anche gli automobilisti mi sembrano rispettosi. Qui la ‘partita’ è troppo grossa per pretendere di avere fretta, per pensare di alzare la voce. Vengo invitato ad accostare davanti all’autogrill, chiuso. "Lei sa già cosa le chiedo?" mi domanda abbozzando un sorriso un agente affiancato da un collega; tutti rigorosamente con mascherina, un’appendice ormai per chiunque di noi. In materia sono preparatissimo, sfilo libretto, patente, autocerficazione, documento aziendale che attesta l’impegno lavorativo, il tesserino da giornalista con la stessa velocità di quando da ragazzo maneggiavo le figurine Panini. Anche se lo spirito è ben diverso.

Vengo a sapere ufficialmente, ma era già chiaro, che il mega controllo è riservato solo alle auto, obiettivo quello di impedire di emigrare verso il sud. "In zona è già stato effettuato un’altra volta" mi spiega un poliziotto senza però entrare troppo nei dettagli. E in effetti risulta così, una verifica con copione, dinamica e imponenza simile è già stata effettuata il 27 marzo scorso nell’area di servizio Sillaro, sempre sull’A14. Dieci minuti durano le operazioni, capiscono perché sia lì e dove stia andando, chiedono anche per chi lavoro. Mi ringraziano quando aggiungono che tutto è a posto, posso salutare. Da quando la mia vettura è stata arruolata nel lungo serpentone della coda è passata un’ora e quaranta, quasi tre invece da quando ho staccato il bigliettino al casello autostradale di Modena sud. Ma tutti dobbiamo tatuarcelo nella mente; il virus si batte aspettando, in casa soprattutto ma per chi deve circolare per lavoro anche nei posti di controllo.