Massimo Pandolfi
Editoriale
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I 25 anni di Chico Forti

Si è parlato (e straparlato) in queste settimane di Enrico Chico Forti, l'italiano condannato nel 2000 all'ergastolo negli Stati Uniti per un delitto compiuto nel 1998 a Miami e che lui giura e spergiura di non aver commesso.

Inciso personale: seguo questa vicenda da quasi 20 anni e la tesi accusatoria, con relativa sentenza, fa acqua da tutte le parti.

Ma ora non è neanche questo il punto. Il punto è il seguente: dopo che l'Italia è riuscita a estradare Forti (che resta comunque in carcere, a Verona) si è scatenata una bagarre politica perché la premier Giorgia Meloni lo ha atteso all'aeroporto. Ha fatto bene? Ha fatto male? Lascio il giudizio a ognuno di voi.

Il problema è un altro. Chico Forti ha già trascorso 24 anni e quasi 8 mesi della sua vita in carcere, fra l'altro in un carcere di massima sicurezza, a Miami. Averlo fatto  tornare nel suo Paese d'origine, ancora da detenuto fra l'altro, credo sia semplicemente un legittimo e doveroso atto di umanità e non importa, da questo punto di vista, sostenere la tesi innocentista o quella colpevolista.

Il carcere non deve o dovrebbe  aiutare il reinserimento nella vita sociale? Con l'ergastolo, che reinserimento c'è?

E poi: chi è, al giorno d'oggi, che sta più di 25 anni in carcere?