Dopo le lacrime e la paura, dopo lo sconforto e la frustrazione, alla fine è arrivata la rabbia. Una rabbia composta, perché composta è la gente di queste parti. Gente educata, che però è stata tradita. Perché lo dicevano da mesi che non era stato fatto abbastanza, che i detriti lungo molti fiumi e torrenti non erano stati rimossi, che non tutti gli argini erano stati rinforzati. Loro lo vedevano, il mostro in agguato. A Traversara e a Bagnacavallo, in Romagna, come in val di Zena, nel Bolognese. Lo vedevano e lo dicevano a tutti che il mostro non era andato via. E infatti il mostro è tornato: pioggia, acqua, fango, sassi, macerie, case violate, fuga sui tetti, stivali, pale, mobili nuovi comprati dopo maggio 2023 di nuovo buttati via. Ora questa gente chiede: perché il mostro non è stato fermato? Una domanda rimbalzata ieri di piazza in piazza, da San Lazzaro a Cotignola. La risposta delle istituzioni è che è stato fatto il possibile. Non è vero. O meglio: dipende da cosa si intende per ’possibile’ all’interno di una palude di regole contorte, di scatole cinesi, di burocrazia, di livelli decisionali stratificati, di enti che si pestano i piedi a vicenda, di mail che si rincorrono di computer in computer, di personale che non c’è, di politici che si sbranano. Un castello kafkiano dove tutti comandano e nessuno decide, un labirinto dove i volenterosi si smarriscono e i colpevoli si nascondono. Cos’è possibile fare in queste condizioni? Ben poco. Tant’è che nei giorni scorsi il sindaco di Faenza, Massimo Isola, ha preso carta e penna e ha scritto al Capo dello Stato per dirgli che d’ora in poi avrebbe provveduto per conto suo, fregandosene dei permessi di Pinco, delle autorizzazioni di Caio e dei piani di Pallino. Lo stesso sindaco ha rivelato un episodio. Dopo l’alluvione del 2023 aveva offerto al commissario Figliuolo e alla sua struttura il Palazzo del Podestà, affinché lui e i suoi collaboratori potessero insediarsi lì e seguire passo passo la ricostruzione, da vicino. Loro hanno risposto che sarebbero rimasti a Roma. Ma come si fa, dice Isola, a ricostruire in fretta con le Pec e le videocall? Difficile. Infatti non è accaduto.
EditorialeUna palude di scatole cinesi e burocrazia