
di Silvano Clappis
Immediatamente fuori della cinta muraria, in una fila di casette, troviamo l’abitazione di Elvio Grilli, 70 anni, insegnante di educazione fisica prima ad Abano Terme poi al liceo classico "Nolfi" di Fano, oggi in pensione, esperienze in ambito calcistico come allenatore e dirigente, ma soprattutto autore di libri in dialetto fanese, grazie ai quali ha vinto prestigiosi premi nazionali ed internazionali.
Grilli, innanzitutto qualcosa di lei e su questa graziosa dimora.
"Sono nato ad Acqualagna, ma i miei genitori si trasferirono a Fano per motivi di lavoro quando avevo due anni e mezzo. Precisamente a Carrara, così in quel periodo ho potuto vivere la periferia fanese. Poi scuole al Luigi Rossi, le medie alla Gioventù italiana a Pesaro, l’istituto magistrale ’Carducci’ a Fano e infine l’Isef a Urbino. Questa casa l’abbiamo comprata nel 2001, l’abbiamo ristrutturata abbattendo il cartongesso e scoprendo le travi originali in legno e in ferro messe dopo il terremoto del 1930. Penso sia degli inizi del Novecento, la mano di mia moglie Loredana Binda ha fatto il resto, arredandola con gusto e intelligenza, grazie anche al recupero di alcuni mobili antichi: questo comò di mia madre, ad esempio, è del 1933".
Tra le varie cose esposte, ce n’è una in particolare alla quale è più legato?
"Mah, guarda, i quadri sono di artisti locali. Ci sono i premi ricevuti per la poesia. Fra tutti, quello a cui tengo in modo particolare è il Premio Laurentum, vinto nel 2014. La cerimonia di questa XXVIII edizione si è svolta alla Biblioteca del Quirinale, riservata ad una cinquantina di persone. C’eravamo noi, i dodici premiati dal presidente Gianni Letta e dalla giuria composta, tra gli altri, da Davide Rondoni, Raffaele La Capria, Maurizio Cucchi, Corrado Calabrò, Maria Rita Parsi, Simona Izzo. Quell’anno a ricevere il premio, oltre al sottoscritto, erano la regista Lina Wertmuller, morta qualche giorno fa, l’attrice Adriana Asti, Giovanni Malagò per lo sport, Giampiero Neri per il premio ’Dante Alighieri’. Confesso che in quel momento mi sono sentito come una star, tra televisioni, giornalisti, la presentatrice di Sky tv Olivia Tassara. Insomma, non capita tutti i giorni di essere premiato al Quirinale! Mi piace ricordare anche il Premio Carlo Levi e la Medaglia del Senato della Repubblica, tra quelli più importanti".
Veniamo alla sua passione. E’ un cultore e amante del dialetto. Perciò le chiedo: come sta il dialetto fanese?
"Purtroppo il dialetto a Fano, come in altre città, viene continuamente italianizzato. Gran parte dei termini che si sentono ancora oggi sono ovviamente legati alle professioni, agli usi e costumi di una volta. Il fatto che certi mestieri o tradizioni stiano scomparendo fa perdere inevitabilmente anche il relativo lessico. Porto sempre questo esempio: oggi si dice ’so scunsulat’, ma in dialetto fanese non esiste, perché si dice ’so vilit’. Per cui si fa l’operazione opposta, si tende cioè a dialettizzare la lingua italiana e questa è una maniera che uniforma. Anche se a Fano ci sono tre tipi di dialetto e una certa inflessione rimane sempre: si capisce al volo se sei del porto, della città, di Metaurilia o della Carrara. Quello del centro, più raffinato, ha mantenuto una forma più nobile, derivante dalla radice latina: quàter, pàder, noster, màder. Altra particolarità è che i ragazzi non lo usano più, specie i bambini. Per questo ho tentato un paio di esperienze nelle scuole Corridoni. Per un anno e mezzo ho dialettizzato la favola ’Cipì’ di Mario Lodi, ne è nato un libro tattile per i bambini non vedenti di Pesaro, poi per due anni con la scuola primaria ’Montesi’ è scaturito il ’Pinòchi’ con l’associazione ’Le Per.Si.Ch.’ (Perettini, Simoncelli, Chiappa), abbiamo portato a Fano anche il protagonista del film di Garrone, Federico Ielapi al Carnevale, ne è nato un concorso letterario, ma ho capito, alla fine, che i bambini non parlano fanese a meno che non siano inseriti in una famiglia di generazioni fanesi".
Eppure è una lingua affascinante, ho visto con quante variazioni ha scritto il pronome voi: vujatre, vujater, vujalter, vatre, viatre, vò. Incredibile. Chi sono nel passato i poeti che ama di più? Chi è rimasto a scrivere in dialetto?
"Apprezzo l’ironia di Mario Isotti, il trasporto di Giacomo Gabbianelli, le lunghe poesie di Alceo Sambughi con cui ho fatto serate. Io ero partito così, con rime baciate, era venuta fuori la mia formazione magistrale, classica. All’esame di maturità portai un poemetto in ottave, versi endecasillabi sul mito. Andando più indietro Giulio Grimaldi però usa parole che non si conoscono più. Oggi c’è Roberto ’Bandy’ Ricci, Stefano ’Snel’ Rovinelli, Maurizio Misuriello, Paolo Boiani, Florenzio Ferri e la Borghetti Bugaròn Band per la parte musicale. Siamo rimasti pochi".