REDAZIONE FERMO

L’Autre Chose chiede il concordato preventivo

Timori per i 60 dipendenti e le loro famiglie, ma anche per tutto l’indotto, dai fornitori che aspettano di essere pagati ai terzisti

Si fa sempre più complicata la situazione per i dipendenti de ‘L’Autre Chose’ dopo che, a inizio febbraio, l’azienda ha presentato richiesta di concordato. Circa 60 dipendenti, di cui una quarantina del sito produttivo nella zona industriale nord, gli altri del polo logistico, sono a casa dall’inizio dell’anno, essendo ferma la manovia. Non hanno stipendio in quanto la mensilità di gennaio, con l’avvenuta presentazione del concordato, è stata congelata. Non hanno cassaintegrazione perché, a quanto risulta, non è stata presentata la richiesta per i mesi di gennaio e febbraio. Insomma, non hanno idea di quale potrà essere la loro sorte. Alle loro preoccupazioni, si aggiungono quelle, altrettanto cogenti, dei fornitori che aspettando ugualmente di essere pagati degli arretrati. E poi ci sono i terzisti. L’altro giorno, alcuni terzisti cinesi si sono catapultati in azienda per esigere il pagamento del dovuto. L’unico dato positivo, se tale può essere considerato, è che dopo la manifestazione di protesta davanti ai cancelli dell’azienda dello scorso novembre, i dipendenti sono riusciti almeno ad ottenere il pagamento degli stipendi arretrati, tredicesima compresa.

Ma, con l’inizio del nuovo anno, l’incubo del posto di lavoro a rischio e della perdita di stipendio si è ripresentato più inquietante che mai. "I lavoratori sono piombati in una situazione di grande preoccupazione e nei prossimi giorni li incontreremo per cercare di fare il punto della situazione e di tranquillizzarli, per quanto possibile" spiegano le organizzazioni sindacali, consapevoli che la situazione non è delle migliori, che per alcuni lavoratori il discorso del concordato è un fatto del tutto nuovo che li sta disorientando, ma anche del fatto che non è facile riuscire ad interloquire con l’azienda per capire quali possono essere le prospettive future. Tra l’altro, lo scenario sta creando preoccupazioni anche tra i dipendenti usciti volontariamente lo scorso anno, in quanto erano stati siglati accordi per il pagamento rateale del Tfr (viste le difficoltà in termini di liquidità dell’azienda) e che, adesso, si stanno vedendo congelate dalle 2 alle 4 rate. A ciò si aggiungano i rumors circa un ulteriore avvicendamento nel ruolo di amministratore delegato individuato un paio di mesi fa dal Fondo. La richiesta di concordato ha preso le mosse da fornitori creditori e, in particolare, da un’azienda di pellami fiorentina che ha instaurato il procedimento per la dichiarazione di fallimento. Ad oggi, l’azienda è ferma. La produzione per alcuni brand sarebbe stata affidata in conto terzi ma anche su questo fronte ci sono difficoltà vista la scarsa capacità di acquistare materiali e l’indisponibilità dei fornitori a dare credito.

Marisa Colibazzi