
Claudio Casadio nei panni di Oreste, protagonista dell’omonima pièce
Stasera alle 20.30, al teatro comunale Claudio Abbado, Claudio Casadio porterà in scena ’L’Oreste. Quando i morti uccidono i vivi’, spettacolo di ’graphic novel theatre’ in cui i sogni dell’Oreste trasformano la scenografa in un caleidoscopio di presenze. Un solo attore in scena, ma non un monologo. Grazie alla mano di Andrea Bruno l’interazione tra teatro e fumetto è continua. La pièce - scritta da Francesco Niccolini e diretta da Giuseppe Marini - è una riflessione su come la vita spesso non faccia sconti e sia impietosa.
Com’è nata l’idea di unire fumetto e teatro?
"Durante il lockdown. Io e Niccolini ci sentiamo spesso. Si parlava del Lucca festival, che voleva approcciarsi al teatro. Da lì nata l’idea di unire le due cose. Mi hanno chiesto che cosa volessi fare e io ho scelto questa storia".
Che tipo di storia è?
"È la storia vera di un ricoverato di Volterra, che disegnava sui muri. Per esigenze narrative abbiamo spostato il manicomio a Imola, dal momento che volevo ambientarlo in Romagna".
I temi sono l’abbandono e amore negato. Che messaggio che vuole mandare?
"Abbiamo tutti un grande bisogno di amore. Senza di esso la vita non ha sapore. L’amore di Oreste non c’è, lui è solo. Per questo si inventa tutto: amici, fidanzata e un padre - che lo immagina in attesa, sulla luna".
C’è un riferimento all’ ‘Astolfo sulla luna’ di Ariosto?
"Non ci abbiamo pensato. Vediamo la luna come luogo magico di fuga e di salvezza".
Quasi di leopardiana memoria.
"Certo, l’immaginario attorno alla figura della luna non è nuovo, ma volevamo dargli una nostra interpretazione".
Come si relaziona con la controparte grafica?
"Come se fossero attori in carne e ossa. Ci sono dialoghi e battute in cui io mi inserisco. Il fatto di non avere attori fisici è molto comodo perché posso spaziare di più".
Sempre collegandomi ad Ariosto, questa volta all’ ‘Orlando furioso’, la malattia mentale spesso è vista come un problema. Lei cerca di rivalutarlo?
"Lo spettacolo nasce per far conoscere la legge Basaglia che sancì, nel 1980, la chiusura dei manicomi. I ragazzi di oggi non conoscono questa storia".
È uno spettacolo forte, poetico, a volte drammatico e altre comico. Che spunti ha avuto?
"L’ispirazione è euripidea, io poi ho inserito i ricordi della mia infanzia. Io lo recito con una cadenza Romagna, che sa essere comica e goffa, ma anche molto onirica e poetica".
Progetti futuri?
"Con Roberto Valerio voglio portare in scena ‘Gli innamorati’ di Carlo Goldoni. Ho voglia di creare una compagnia di giovani, di condividere il mio progetto e fare da tutore".
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Andriy Sberlati