Fa condannare l’ex marito: lui spendeva tutto con l’amante. "Non può anche se i soldi sono suoi"

La corte d’appello aveva detto no all’amministratore di sostegno ma la Cassazione annulla: "La libertà di gestire il patrimonio non deve andare a discapito dell’assegno di mantenimento"

Tutti i soldi per l'amante: marito condannato

Tutti i soldi per l'amante: marito condannato

Ferrara, 12 aprile 2024 – Il classico triangolo amoroso: marito, moglie e amante di lui e tre gradi di giudizio non sufficienti a stabilire se lui, un po’ troppo di ‘manica larga’ con l’amante, ha bisogno o meno di un amministratore di sostegno. È il succo della causa civile intentata da una ferrarese, diventata poi ex moglie, che ha trascinato in tribunale l’ex marito, perché non ricevendo regolarmente l’assegno di mantenimento che le spettava, era poi venuta a sapere che l’uomo stava dilapidando il consistente patrimonio di famiglia, anche a favore dell’amante straniera. Contestando lo ‘sperpero’ di 500mila euro almeno e la vendita di terreni agricoli per più di un milione di euro.

Per lei nessun dubbio che l’ex coniuge fosse affetto da prodigalità patologica, situazione che l’ha convinta a chiedere al giudice di Ferrara la nomina di un amministratore di sostegno a tutela del patrimonio di famiglia. Istanza accolta dal Tribunale estense, che ha provveduto, appunto, alla nomina di un amministratore. L’uomo non ci sta e propone ricorso alla Corte di Appello di Bologna. A questo punto il primo colpo di scena: i giudici felsinei ribaltano completamente la situazione, sostenendo che non è stata provata in sede di indagine la prodigalità dell’uomo come patologica e, in sostanza, sposando la tesi difensiva dell’ex marito. Questo nonostante l’uomo non avesse ottemperato alla richiesta di mostrare i movimenti bancari, come richiestogli. Probabilmente proprio per non permettere di ricostruire dove erano andati a finire centinaia di migliaia di euro.

Non si dà per vinta la ex moglie, la quale tramite i suoi legali, decide di impugnare la sentenza felsinea davanti alla Corte di Cassazione, che di recente le ha dato di nuovo ragione. Gli ermellini, spiegando nel dettaglio in dieci pagine di sentenza, tornano alle conclusioni del giudice ferrarese, sostenendo in sintesi che il fatto di non essergli stata riconosciuta una prodigalità patologica, non significa che non ci sia bisogno di un amministratore di sostegno, tanto più alla luce del fatto che “l’ex marito, non ha chiarito la destinazione di gran parte delle somme sparite e non ha nemmeno mostrato di essere pienamente consapevole delle situazioni di grave pregiudizio nelle quali poteva trovarsi, avendo anche chiesto finanziamenti bancari, mai concessi".

Infine, i giudici della Suprema Corte mettono in evidenza anche che i colleghi felsinei hanno tenuto in scarsa considerazione quello che lo stesso fratello dell’ex marito aveva dichiarato sui "rischi di compromissione dell’intero patrimonio familiare". Aggiungendo che "se una persona è libera di disporre del proprio patrimonio non può però ridursi nella condizione in cui, non solo non sia più in grado di assicurare i doveri di solidarietà già posti a suo carico (l’aiuto all’ex coniuge), ma finanche quelli in favore della propria persona". Toccherà ora alla Corte di Appello riaffrontare la controversia familiare.