REDAZIONE FERRARA

Così Vivaldi cambiò la sorte del suo Catone

La rappresentazione questa sera al teatro Abbado, dirige il maestro Sardelli. Ieri la presentazione con la ’Prima della prima’

Così Vivaldi cambiò la sorte del suo Catone

Quest’oggi, alle 20, il Teatro Abbado vibrerà delle note del Catone in Utica di don Antonio Vivaldi, diretto dal maestro Federico Maria Sardelli con regia del M. Marco Bellussi. Sardelli e Bellussi, assieme all’Orchestra dell’Accademia dello Spirito Santo di Ferrara, a circa un anno di distanza dall’esecuzione al Comunale del Farnace vivaldiano, si ritrovano ancora, nuovamente uniti dalle imperiture partiture del Prete Rosso. E, ancora una volta, l’opera che va in scena è priva di qualche sua parte: mancante dell’atto conclusivo il Farnace, orbato del primo atto, invece, il Catone. Ieri sera, a ridosso della prova generale, assieme a Marcello Corvino, direttore artistico dell’Abbado, e moderati da Vittorio Robiati Bendaud, Bellussi e Sardelli si sono ritrovati nel Ridotto del Comunale per la ‘Prima della Prima’: la presentazione introduttiva all’esecuzione operistica. Il libretto d’opera Catone in Utica, musicato più volte nel corso del XVIII secolo, fu scritto da Pietro Metastasio nel 1728. Venne poi rimaneggiato da Vivaldi per il ‘suo’ Catone, eseguito nel 1737 a Verona. La rappresentazione veronese, come attestato dai contemporanei, fu l’ultimo grande trionfo vivaldiano: per Vivaldi fu, come egli stesso ebbe a scrivere, la sintesi più felice e fruttuosa tra la sua attività di artista-compositore e quella di impresario teatrale-uomo d’affari. Don Antonio, come sottolineato da Sardelli, cercò di reiterare quel successo a Ferrara, sollecitando in proposito il marchese Bentivoglio, il suo amico ed estimatore ferrarese. Tuttavia, come nel caso disastroso e fatale del Farnace, non se ne fece nulla e Ferrara gli risultò interdetta, in ragione della ferma opposizione del cardinale Ruffo, troppo incline a prestare ascolto alle molte maldicenze attorno a un originale prete-musico, esentato dal dir messa, che, per giunta, si accompagnava ad artisti, teatranti e, in particolare, a una certa, giovane, cantante… Il Catone di Metastasio, e dunque di Vivaldi, s’inscrive nelle ben note vicende della storia romana, di cui rende conto, tra gli altri, anche Sallustio, immortalante, uno accanto all’altro, Catone e Cesare. Siamo al tramontare dell’età repubblicana e al sorgere dell’impero, a Utica, in Africa del Nord, negli antichi domini punici, ove era riparato Catone l’Uticense -il Cato Minor, per distinguerlo dall’altrettanto celebre suo avo, l’antagonista degli Scipione, il Cato Maior-. Catone, araldo delle prische tradizioni romane repubblicane, si oppone strenuamente all’ascesa di Cesare, ravvisando da ultimo in Pompeo un freno contro Giulio. A Utica, rifiutando un’altrimenti disonorevole resa, Catone si suicida, trascorrendo le ultime ore leggendo il Fedone di Platone. Ma queste non sono le sorti del Catone vivaldiano, che non muore suicida, come l’ascoltatore apprenderà. Tuttavia, come immaginato da Bellussi, che lo ambienta nella villa di Emilia, la vedova di Pompeo, gli intrighi, amari come il fiele, non mancano.