Risse tra bande a Ferrara, la comunità nigeriana lavora per la tregua

Dopo la scia di sangue degli ultimi mesi, il rappresentante degli immigrati giunti dalla Nigeria parla di "promesse mantenute"

La comunità nigeriana si sta mobilitando per cambiare l’immagine di molti suoi connazionali

La comunità nigeriana si sta mobilitando per cambiare l’immagine di molti suoi connazionali

Ferrara, 1 settembre 2018 – Kevin Jacob, rappresentante della comunità nigeriana ferrarese, parla a un mese e mezzo da quando le comunità africane della città convocarono la stampa per parlare della scia di sangue.

Forse è solo un caso ma da quel giorno i machete sono stati rinfoderati.

"Non credo sia solo un caso. Credo sia il frutto del nostro lavoro quotidiano".

Lavoro?

"Incontriamo i ragazzi. Quegli articoli li hanno letti tutti. Il messaggio, cacciare dall’Italia chi si macchia di queste violenze, è entrato in tutte le case dei fratelli africani".

Quel pomeriggio, in una saletta stipata di ragazzi africani, i capi delle varie comunità fecero due proposte. La prima: una manifestazione organizzata da voi per chiedere sicurezza.

"Ci stiamo lavorando. Stiamo pensando di organizzarla per settembre. Vogliamo essere in tanti. Chiediamo il rispetto delle regole, da parte di tutti. Siamo noi, i primi, a chiedere sicurezza: stop al sangue e certezza della pena".

Avevate proposto anche un incontro con le istituzioni, polizia e carabinieri soprattutto, per capire come collaborare.

"Abbiamo mantenuto la parola, anche su questo".

Ma basta secondo lei il lavoro basato sulla parola?

"No, certo. È fondamentale se accompagnato anche da un altro messaggio".

Quale?

"Il lavoro delle autorità. Il nostro messaggio arriva al cuore se, quando succede qualcosa, i colpevoli vengono arrestati in fretta. Dialogo e fermezza".

Lei insiste sul fatto che le risse non dipendano né dalla droga né dalla presenza, in città, della mafia nigeriana. Ne è ancora convinto?

"Sono bande di giovani che si scontrano per dimostrare chi è il più forte. Esattamente come in Nigeria, dove il nome di questi gruppi è ‘cult groups’".

Perché, anche a Ferrara, si entra in un ‘cult’?

"Per sentire protezione, senso di appartenenza. Soprattutto se sei solo, a migliaia di chilometri dalle tue radici. Queste cose hanno un peso nel mondo delle migrazioni".

Come si esce?

"Questo è più complicato. Una volta che sei nella banda senti di avere un posto. Di essere qualcosa per qualcuno. Sai di non essere solo. E vuoi dimostrare la tua forza. Credetemi, con la droga le risse non c’entrano".

Questa apparente pace può continuare?

"Noi ci stiamo lavorando. Speriamo duri".