Uccisa con il tè al nitrito a Ferrara: "Condannate la figlia, l’ha avvelenata lei". Il pm chiede il processo

La procura di Ferrara vuole il rinvio a giudizio per Sara Corcione. Il cadavere della madre Sonia Diolaiti scoperto a luglio dello scorso anno

Uccisa con il tè al nitrito  "Condannate la figlia,  l’ha avvelenata lei"  Il pm chiede il processo

Uccisa con il tè al nitrito "Condannate la figlia, l’ha avvelenata lei" Il pm chiede il processo

Ferrara, 6 giugno 2023 – Ha avvelenato sua madre e per questo deve essere processata. A meno di un anno dalla morte di Sonia Diolaiti, ferrarese di 64 anni, la procura estense non solo ha chiuso le indagini sul delitto di via Ortigara, ma anche presentato la richiesta di rinvio a giudizio per omicidio premeditato della figlia, Sara Corcione, che di anni ne ha 39 e che dalla fine di luglio dello scorso anno è rinchiusa in carcere. Il pm che ha coordinato le indagini, Lisa Busato, ha chiesto che Corcione venga processata davanti alla Corte di Assise Ferrara per omicidio premeditato, aggravato dal vincolo di parentela. Il giudice dell’udienza preliminare, Carlo Negri, ha fissato l’udienza per la discussione al 27 giugno prossimo. Corcione, che è assistita dall’avvocato Antonio Cappuccio, fin da poco dopo la scoperta del cadavere della madre, nell’appartamento dove abitava al piano terra del condominio di via Ortigara, ha confessato di avere avvelenato la madre, mettendo del nitrito di sodio nella bottiglia del tè che era solito tenere in frigo e bere di volta in volta. Poi ha attesa che la madre, di ritorno da una breve vacanza, ne bevesse una quantità sufficiente da ucciderla. Morte che secondo quanto stabilito dalla successiva autopsia, sarebbe arrivata nella notte tra il 27 e il 28 luglio dello scorso anno. Mentre il corpo senza vita della vittima, fu trovato due giorni dopo, nell’ingresso dell’appartamento.

La scoperta. Un’amica di Diolaiti, insospettita dal fatto che non le rispondesse al telefono, né al citofono del campanello a pochi giorni dalla partenza per altre vacanze, la sera del 29 luglio si presenta dai carabinieri e racconta che qualcosa non le torna. In via Ortigara arrivano i carabinieri e i vigili del fuoco per entrare con forza nell’appartamento. Appena aperta la porta dell’ingresso, la scoperta del cadavere della madre, disteso a terra, non lontano dalla porta che probabilmente, in preda agli spasmi, la donna aveva cercato di raggiungere per chiedere aiuto. A quel punto qualcuno informa i militari che al quarto piano vive la figlia della vittima, Sara Corcione. I carabinieri salgono e suonano: nessuno risponde. Poi dopo un po’ la figlia, probabilmente capendo che era finita, apre la porta e dopo un primo vago tentativo di spiegare che lei non sapeva nulla della madre, inizia a raccontare l’orrore. Di essere stata lei a ucciderla, perché erano arrivati al punto di "o lei o me". Un rapporto da sempre difficile tra madre e figlia, complicato dalla morte del padre dell’imputata, stimato medico dell’Sant’Anna, avvenuta alcuni anni prima. In questo complicato contesto familiare sarebbe maturata la decisione di avvelenare il genitore con la sostanza tossica acquistata su internet. Corcione viene immediatamente arrestata e da allora è detenuta nel carcere di Bologna.

Le indagini. Pochi giorni dopo il delitto, la procura dispone tre diverse consulenze tecniche. La prima è quella psichiatrica, affidata a Luciano Finotti e finalizzata a stabilire la capacità di intendere e volere dell’imputata; la seconda è di natura informatica, al fine di valutare il contenuto di un computer portatile e di un cellulare (entrambi dell’indagata) sequestrati durante i sopralluoghi in via Ortigara; la terza, affidata ai carabinieri del Ris, è finalizzata all’analisi chimica di una trentina di reperti trovati nei due appartamenti (liquidi, bottiglie, tazze, contenitori e un flacone con la scritta cinese nel quale si sospetta fosse contenuto il veleno). La prima consulenza a essere depositata è quella psichiatrica. Secondo l’esperto, l’indagata era capace di intendere e volere al momento del delitto, pur soffrendo di un grave disturbo paranoide della personalità. Per questo è in grado di stare in processo.