STEFANO BENZONI
Cronaca

Franco e il ’caso’ Ayrton. Il medico del circuito:: "Inoperabile da subito. Una fatalità tragica"

Il dottor Servadei, forlivese, era il neurochirurgo a Imola il giorno dell’incidente mortale a Senna, portato subito a Bologna ma in condizioni disperate: "Lo scontro di Barrichello fu più grave, eppure lui rimase illeso".

Franco e il ’caso’ Ayrton. Il medico del circuito:: "Inoperabile da subito. Una fatalità tragica"

Franco e il ’caso’ Ayrton. Il medico del circuito:: "Inoperabile da subito. Una fatalità tragica"

"Fu un fine settimana drammatico, uno di quelli che non si dimentica per la vita". È impressionante la lucidità con la quale il neurochirurgo forlivese Franco Servadei a distanza di trent’anni ricorda ogni fatto, persona o evento di quei tre tragici giorni fra il 29 aprile e l’1 maggio del 1994 all’autodromo di Imola, culminati con la traumatica morte del pilota brasiliano Ayrton Senna. Servadei, che all’epoca lavorava all’ospedale ‘Bellaria’ di Bologna, era il neurochirurgo del circuito per la parte italiana e lavorava insieme ad altri specialisti come anestesista, rianimatore, ortopedico coordinati dal neurologo inglese Sid Watkins, il medico della Formula Uno.

Dottore, quel primo maggio fu un giorno tremendo.

"A dire il vero furono tre giorni drammatici e molto difficili. In otto anni di servizio al circuito avevo visto solo piccoli incidenti, ma quello che accadde in quei tre giorni resta difficile da dimenticare".

Prima ci fu l’incidente a Rubens Barrichello...

"Pazzesco al pensiero. La macchina saltò una curva, si girò su se stessa a 360 gradi e riatterrò sulle quattro ruote. Auto distrutta, ma fortunatamente pilota illeso, l’ennesimo episodio che deve far riflettere sul destino e sulla casualità. Il giorno dopo ci fu la morte di Roland Ratzenberger e la domenica quella di Senna". Cosa ricorda di tutto ciò?

"Tutto, e molto bene. Senna a causa del braccio della sospensione che nell’urto contro il muretto lo trafisse poco sopra l’occhio destro, ebbe il trauma più importante. Lo portammo in elicottero all’ospedale Maggiore di Bologna. Io ero insieme a lui e a Watkins e in ospedale ci aspettavano il dottor Andreoli fatto arrivare dal Bellaria e il dottor Grossi. Durante il tragitto il ragazzo era ancora vivo ma la situazione cerebrale era molto critica".

Poi cosa accadde?

"Appena arrivati facemmo un consulto ma ci rendemmo subito conto che non c’era spazio per un intervento chirurgico perché le sue condizioni erano disperate. Venne organizzata una conferenza stampa nell’aula magna del Maggiore dove arrivarono 300 giornalisti, fra i quali coloro che mi rimasero più impressi furono i cronisti brasiliani che erano fra il disperato e il delirante. Dicevano che avremmo dovuto far venire i più grandi neurochirurghi dagli Stati Uniti e dal Brasile per far operare Senna, insomma ci trattavano come se fossimo in un paese del terzo mondo. Invece dopo un paio d’ore l’encefalogramma del pilota era piatto".

Si rese conto in quei momenti di stare vivendo uno dei momenti sportivamente e non solo più importanti nella storia degli anni ‘90 e dell’automobilismo?

"Nel caso in cui non l’avessi capito, la folla presente al Maggiore me lo rese solare".

Ovviamente per il brasiliano non si poteva fare più nulla?

"La serietà dell’equipe di Bologna fu esemplare. Facemmo quello che eravamo abituati a fare tutti i giorni, vale a dire quello che era più utile e che serviva al paziente e non certo a noi".

Cosa intende?

"Che se l’avessimo portato in sala operatoria e avessimo tentato un inutile intervento, lui sarebbe morto ugualmente ma noi avremmo fatto la figura quasi eroica per aver cercato di salvarlo. Invece i risultati migliori si ottengono ragionando con equilibrio e facendo quello che eravamo abituati a fare tutti i giorni".

È stato questo il momento più drammatico della sua carriera di neurochirurgo?

"No, perché negli anni della mia professione ne ho viste talmente tante di situazioni anche peggiori che fatico a ricordarle tutte".

Ci fu qualcosa che la colpì particolarmente?

"Due aspetti: le persone accanto a lui distrutte, affrante, e la sua giovane età, nel senso che avrebbe potuto dare ancora tanto alla sua professione e soprattutto alla vita. E poi ripensai al destino: la carambola di Barrichello e lui illeso e Senna morto per una sfortunata casualità".

Dopo questi episodi continuò a frequentare il mondo della Formula 1?

"Era un mondo che sebbene non mi appassionasse, mi aveva molto affascinato, però no, non me la sentivo più di stare in quell’ambiente. Mi presi inizialmente una pausa che poi diventò definitiva. Si trattò di un’esperienza umana davvero molto forte, di quelle che non si dimenticano per la vita".