"Mia figlia ha perso 6 chili e non dormiva Quando tornò a Forlì non la riconoscevamo"

Mamma Mirella e la sorella Emanuela raccontano gli ultimi difficili mesi: il 19 febbraio era rientrata in città per farsi aiutare, ma poi decise di ripartire 4 giorni prima di sparire. La diagnosi del medico di base: "Calo ponderale significativo e stress da lavoro"

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di Serena D’Urbano

"Che Sara volesse diventare ginecologa le era chiaro già in terza media quando presentò una tesina sulla riproduzione". Mamma Mirella, dopo tre mesi, trova il coraggio di tornare a parlare pubblicamente di quella figlia, la seconda, che "correva sempre". ’Riposati Sara, fermati un attimo’, le dicevano i genitori, ma lei "correva. I suoi non erano passi, ma balzi". Una ragazza "colorata", così la definisce anche la sorella Emanuela. Le ex colleghe di Catanzaro – dove aveva frequentato la specialistica dal 2015 al 2020 – la chiamavano ’Red Bull’ per via dei fulgidi capelli rossi, ma anche perché era "esplosiva", l’energia fatta persona. Di lei ricordano l’accento romagnolo e il tono di voce squillante. "Era piena di vita, un treno in corsa, con uno spiccato senso del dovere", scrivono in due distinte lettere che seguono quel tragico 4 marzo.

Sara aveva un pallino chiamato PMA, ovvero procreazione medicalmente assistita. Lei voleva regalare la vita. Regalare speranza a chi aveva smesso di averne. "Si è commossa – racconta una dottoressa di Catanzaro – il giorno in cui abbiamo saputo che la nostra prima paziente aspettava un bambino".

Dopo aver frequentato il liceo Classico di Forlì, si trasferisce a Ferrara per studiare Medicina e si laurea col massimo dei voti. Durante gli studi la sua giovane vita aveva già messo un puntello in Trentino Alto Adige grazie ad uno stage a Brunico, proprio nel laboratorio di PMA, per preparare la tesi. Un’esperienza che ricorderà con grande affetto e soddisfazione e che forse – raccontano Mirella ed Emanuela – la motiverà anche a tornare in quella regione.

Finita Medicina, Sara non ha dubbi: vuole iniziare la specializzazione senza perdere tempo e coglie la prima opportunità che le si presenta: si trasferisce a Catanzaro, a quasi 1000 km da casa. Lì continua a formarsi e vive ancora una volta distante dai suoi cari, per altri 5 anni, senza segni di cedimento. Con grande tenacia porta avanti i suoi obiettivi, fino a concludere col massimo dei risultati anche questo percorso. Neppure i 50 giorni di lockdown in un appartamentino di 30 metri quadri sembrano provarla, tanto che, per scherzare, la sorella la chiama ’Highlander’. In Calabria trova l’amore – resterà insieme al fidanzato di Cosenza fino all’ultimo, nonostante il trasferimento – e un contesto lavorativo sereno. Le sue speranze di un futuro radioso in ambito professionale vengono nutrite da feedback positivi. La professoressa Roberta Venturella, sua tutor, sottolinea: "Certamente mai, in 5 anni, ho sentito dire a Sara qualcosa che mi possa far minimamente pensare ad una depressione nascosta, ad una scarsa capacità di adattamento". In quel periodo di formazione nel sud Italia, c’è anche una parentesi di 6 mesi in un’altra città: Napoli, anche qui in un centro di PMA. La sua responsabile la definisce "affidabile" e ritiene "inspiegabile" quanto le è successo poi.

Conclusa la specializzazione, Sara vince il concorso a Cles – lo vincerà anche a Ravenna, "ma ho già dato la mia parola", dirà alla famiglia per giustificare la scelta più lontana – e il 15 novembre 2020 parte, contando di andare a lavorare in forza all’ospedale assegnatole. Affitta casa a 5 minuti dal lavoro, ma il giorno prima di prendere servizio, le arriva un’inattesa comunicazione: l’organico di Cles viene ridotto e andrà a lavorare al Santa Chiara di Trento: 41 km di auto all’andata e 41 al ritorno, tutti i giorni di un inverno eccezionalmente freddo e nevoso, a detta degli stessi trentini. Si parte la mattina all’alba, a volte dopo aver spalato la neve, e si torna la sera, con in mezzo, spesso, turni di 12 ore. Sara chiederà più volte di essere trasferita a Cles, ma questa speranza viene procrastinata di mese in mese.

Nel frattempo le settimane passano e la 31enne, da "solare e piena di vita" si spegne ogni giorno di più. Non mangia e non dorme. Già minutina e magra, perde velocemente 6 chili. Non ascolta più la musica nel tragitto casa-lavoro e la sua voce "squillante" si fa sempre più flebile. "Ci sentivamo tutti i giorni – raccontano mamma Mirella e la sorella Emanuela –. chiamava mentre era in macchina e in sottofondo si sentiva sempre la musica che tanto amava, poi più niente. E telefonate sempre più corte". I messaggi alla famiglia cominciano ad essere carichi di disperazione e frustrazione, di un senso di inadeguatezza e "incapacità percepita". "Temeva di non essere in grado di fare il suo lavoro – spiega Emanuela –. Era terrorizzata. A un certo punto le ho detto di tornare a Forlì altrimenti saremmo andati su noi". Già, perché dal giorno del trasferimento, a metà novembre, Sara non ha più rimesso piede a casa fino al 19 febbraio. "Da un lato, nonostante avesse fatto la prima dose di vaccino, temeva di contagiare noi e soprattutto i nostri genitori, over 70 – continua la sorella –. Dall’altro non voleva lasciare il gattino. Ma poi ho capito che erano tutte scuse. Non voleva farsi vedere da noi, si vergognava".

Quando i familiari la rivedono dopo 3 mesi e ascoltano i suoi racconti "appare irriconoscibile". La sorella la accompagna subito dal medico di base che, sul certificato di malattia, scriverà ’calo ponderale significativo di natura da determinare - stress da lavoro’. "Sara non voleva prendersi un periodo – prosegue Emanuela –. Voleva tornare subito a lavorare. La dottoressa le propose 15 giorni, lei alla fine accettò una settimana. Era però chiaramente in difficoltà nel comunicare la sua malattia ai superiori. Temeva di non superare il periodo di prova. Poi, mentre era a Forlì, la chiamarono da Trento. Pare che ora fosse libera di scegliere se rientrare al Santa Chiara o ricominciare a Cles. Ma quella che all’inizio e da noi veniva vista come un’opportunità, per lei era diventato un declassamento, un fallimento, una sconfitta. La conferma della sua ’sopraggiunta incapacità’. Quindi la comunicazione: dall’1 marzo sarà in forza a Cles. Non stava bene, abbiamo provato a convincerla a restare, ad allungare la malattia di una settimana".

Ma Sara non resta a Forlì. Non coglie quella mano tesa. Domenica 28 febbraio si sveglia e riparte per Cles. E’ turbata, ha trascorso un’intera settimana a pensare se inviare o meno la lettera di dimissioni, condividendo con i suoi familiari dubbi e paure. L’1 marzo, alle 17,08 scrive alla mamma: "Sono appena arrivata a casa da Trento, ho fatto quello che dovevo fare. Sto malissimo. Sono 48 ore che non dormo. Novità tante, nessuna che mi abbia tranquillizzato. Buona serata". Martedì 2 marzo scrive dall’ospedale di Cles: "Mi hanno affiancata a un ginecologo argentino che non parla italiano". Il 3 marzo si dimette. Alla sorella e al fidanzato dice: "Mi sono tolta un peso". Giovedì 4 marzo Sara scompare.