SOFIA NARDI
Cronaca

Quartieri ancora sotto choc "Abbiamo riaperto a fatica I clienti stanno tornando ma la zona è depressa"

I commercianti di San Benedetto e Romiti, due delle zone più colpite, ammettono: "Sono stati giorni terribili e lunghissimi di duro lavoro. E non è ancora finita".

Quartieri ancora sotto choc  "Abbiamo riaperto a fatica  I clienti stanno tornando  ma la zona è depressa"

Quartieri ancora sotto choc "Abbiamo riaperto a fatica I clienti stanno tornando ma la zona è depressa"

di Sofia Nardi

C’è chi è ripartito, chi ancora è alle prese con fango e muffe e chi, invece, non riaprirà più. Nelle zone alluvionate della città il commercio sta attraversando un lungo periodo buio che non è terminato con l’arrivo dell’estate e, anche dopo il ritirarsi delle acque dell’alluvione, fa i conti con quartieri molto diversi da quelli che era abituato a conoscere. A San Benedetto sono molte le saracinesche abbassate, e non c’entrano solo le ferie agostane: "Per alcuni – commenta un abitante del luogo – è stata una scelta obbligata: quando non si è più giovanissimi non si può pensare a ripartire da zero o ad accendere un mutuo a pochi anni dalla pensione. Si chiude e basta".

C’è chi, però, è ripartito a pieno ritmo, come la rivendita all’ingrosso ‘I fornai srl’ di via Lughese. Dietro al bancone a servire i clienti di sempre, in fila per un montanarino o per una schiacciata, c’è la commessa Valentina Piovaccari: "Ora tutto sembra quasi normale – racconta –, ma noi abbiamo dovuto prenderci due mesi di stop per poter ripulire tutto e cercare di salvare l’arredamento. Abbiamo riaperto il 12 luglio dopo aver smontato e asciugato ogni cosa". Sul soffitto bianco si vedono ancora gli schizzi di fango. "L’acqua arrivava alla maniglia della porta – continua Valentina –. Sembrava impossibile ripartire, invece, anche grazie ai volontari, ce l’abbiamo fatta. Due mesi, però, sono lunghi e la ripartenza inizialmente è stata fiacca: alla porta abbiamo dovuto appendere un cartello luminoso con la scritta ‘aperto’ per avvisare che eravamo di nuovo attivi. Per fortuna ora le persone stanno tornando".

Ci sono voluti 37 giorni di lavoro, invece, alla farmacia di via Gorizia di Daniela Sardi: "Abbiamo perso la gran parte dei medicinali, i pc e quasi tutto il mobilio. Per fortuna si è salvato il bancone antico, in legno massello, che è un po’ il tratto distintivo del negozio e al quale teniamo tanto. Possiamo dire di essere ripartiti da zero. Abbiamo provato a pulire tutto, poi abbiamo gettato via ciò che non era salvabile, ovvero la maggior parte delle cose, e grazie a ditte locali di grande affidabilità, abbiamo ordinato tutto nuovo. Sono stati giorni terribili e lunghissimi, ma abbiamo sempre sentito il quartiere vicino: c’era chi veniva a dare una mano, chi ci portava delle torte e chi veniva a chiedere come stessimo. Ora siamo pienamente attivi, ma ci troviamo in un quartiere che porta ancora i segni di ciò che è successo".

Stefano Bartoletti, titolare del negozio di ortopedia sanitaria ‘Scozzoli’, di via Isonzo, non ha ancora riaperto, ma in negozio c’è sempre, per ripulire, sistemare scaffalature e disporre merci in attesa di una ripartenza che tarda ad avvenire: "Abbiamo avuto oltre un metro d’acqua che ha portato via merci e macchinari per la realizzazione delle scarpe, alcuni non recuperabili. Resta il punto vendita di via Risorgimento che, però, è privo del laboratorio. Qui ci stiamo organizzando per alzare di nuovo la saracinesca, ma non è facile e, soprattutto, non possiamo fare affidamento sui contributi: come faranno a stabilire quali danni abbiamo effettivamente avuto, se nessuno è passato a controllare dopo quattro mesi? Basterà una mia autocertificazione? E chi ci rimborserà gli incassi mancati? Certo, in un modo o nell’altro ci rialzeremo, ma non sarà facile e non sappiamo se potremo farlo a pieno a regime".

Anche i Romiti, uno degli epicentri del disastro, sono ancora profondamente feriti. Lo si vede bene, ad esempio, percorrendo viale Bologna e contando le tante vetrine buie. La pizzeria il Sagittario è del tutto vuota: resta solo il bancone chiazzato di fango. A pochi metri resiste Lambruschi Bike, rivendita di biciclette con annessa pompa di carburante. "L’acqua è salita oltre un metro – spiega il titolare Fausto Lambruschi –, sommergendo tutte le bici. Quelle elettriche sono andate, per un danno di oltre 35mila euro. Parallelamente anche la mia casa in via Nervesa era sott’acqua. Quelle ore le ricordo come una tragedia, se ci ripenso mi viene un groppo alla gola. Pensavo che tutto fosse perduto. Poi gli amici e i volontari ci hanno dato una mano, abbiamo ripulito tutto e siamo ripartiti dopo una chiusura di circa 35 giorni. La zona, però, non è più quella che era: è depressa. Tanti negozi non riapriranno più, il passaggio è calato drasticamente e non so se tornerà mai quello di un tempo. Lo vediamo anche alla pompa di benzina: i guadagni sono calati del 50%, in tanti hanno perso una o più auto e altri non passano più da queste parti".

Conferma Flavia Castelli, commessa nel negozio di abbigliamento professionale ‘Morgan’, di via Sapinia: "Il quartiere non era così, una volta: ora non c’è più nessuno, tutto è rallentato. Fa molta tristezza. Noi, qui, abbiamo avuto circa 50 centimetri d’acqua: si è presa tutte le calzature e molti mobili. Abbiamo ripulito come abbiamo potuto e siamo ripartiti in emergenza, in attesa di avere la possibilità di fare qualche lavoro più completo con calma". Poco distante, sempre in via Sapinia, c’è il negozio di vestiti e accessori ‘MiVesto’. La vetrina che dà sulla strada è coperta di condensa: "Quella non va via – spiega la titolare Mirella Berardinelli –, perché è l’acqua che ha riempito i doppi vetri. Dovrei rifare la vetrina, ma al momento non me lo posso permettere: anche la mia casa è stata completamente sommersa, tant’è che ancora non ci sono potuta rientrare e vivo in affitto, e qui in negozio ho già dovuto rifare i pavimenti in legno che hanno ceduto. Ho perso oltre la metà della merce. Volevo assolutamente ripartire con il lavoro, ma non è stato facile. Mentre pulivo il negozio indossavo gli indumenti usati donati dai forlivesi, perché non mi restava più nulla. Ora faccio i conti con la muffa e l’umidità che ancora suda dalle pareti. È stato un momento durissimo che non ci siamo ancora lasciati alle spalle, nonostante le apparenze".