
Il messaggio di Maria Elena Tripaldi, coordinatrice del centro ’PerLeDonne’ "Dobbiamo aiutare le vittime ed educare i giovani contro la cultura patriarcale".
di Francesca Pradelli
"Bisogna rieducare la comunità a riconoscere quella violenza che non si manifesta con i lividi, ma a parole o con le differenze di genere sul posto di lavoro. Nella quotidianità, una donna fa ancora fatica a vedere riconosciuta la propria identità".
Domani è la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza di genere e Maria Elena Tripaldi, coordinatrice del centro antiviolenza imolese ’PerLeDonne’, lancia un messaggio chiaro su questo tema così complesso che richiede una riflessione a più livelli.
Tripaldi, come viene affrontato a Imola il tema della violenza di genere?
"E’ un tema molto discusso, specialmente dai centri antiviolenza, che si occupano sia di accogliere le donne, sia di prevenzione. Noi, per esempio, andiamo nelle scuole secondarie e parliamo di consenso, educazione all’affettività, violenza di genere e diffusione di materiale intimo. La consapevolezza sul territorio è comunque ancora in costruzione".
Sembra esserci un problema di educazione affettiva…
"Assolutamente sì. Si tendono a normalizzare comportamenti come il ’catcalling’, una vera e propria molestia e lo specchio di come la cultura patriarcale influenzi l’educazione, soprattutto quella maschile, che percepiscono il corpo delle donne come una proprietà, e così anche la loro vita".
Come si muove la vostra associazione?
"Lavoriamo in coordinamento con gli altri centri antiviolenza inseriti nella rete, seguendo metodologie basate sull’empowerment della donna. L’obiettivo è lasciarla libera di decidere come uscire dalla situazione di violenza, orientandola con informazioni e illustrando scenari possibili che le consentano di prendere decisioni per riappropriarsi di sé stessa".
C’è stato un aumento di richieste di aiuto nell’ultimo periodo?
"Lo scorso anno, dopo il femminicidio di Giulia Cecchettin, abbiamo accolto un numero maggiore di tre volte tanto di donne rispetto all’anno precedente. Molte si sono riconosciute nella preoccupazione di Giulia, manifestata nei messaggi vocali che Giulia aveva inviato alle sue amiche nei giorni antecedenti all’omicidio".
Cosa suggerirebbe di fare a una donna che in questo momento si trova in una situazione di difficoltà?
"Di parlare con altre donne e informarsi su internet, cercando numeri di centri antiviolenza o chiamando il 1522. È importante raccogliere quante più informazioni possibili sulla propria situazione, per dotarsi degli strumenti necessari a costruire un piano di sicurezza".
Avete qualche testimonianza di storie a lieto fine?
"Anni fa, abbiamo seguito una donna che subiva forti violenze psicologiche da prima della gravidanza, durante e nei primi mesi di vita della sua bambina. Era arrivata provata, convinta di non essere adeguata come madre e come donna. Grazie a dei percorsi, è riuscita a chiamare i carabinieri, ha fatto allontanare il maltrattante ed è rinata. È riuscita ad accedere a un contratto full-time, ha trovato una nuova abitazione e, grazie a una brava avvocata fornita dal nostro centro, ha ottenuto un accordo con il maltrattante sulla gestione delle spese e su incontri supervisionati. Non è più una nostra utente, ma abbiamo visto un cambiamento profondo in lei: ha imparato a volersi bene e ha capito di avere il diritto di essere felice e autosufficiente".