Coronavirus, l’infermiere: "Effetti personali dei morti chiusi nei sacchi"

Il racconto di Marcello Evangelista, che lavora al Covid Hospital di Civitanova: ai familiari non possiamo restituire nemmeno i vestiti

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Macerata, 31 marzo 2 020 – Nomi scritti su un cerotto, attaccato a un sacchetto nero: è tutto ciò che resta della vita di una persona. Al personale medico e infermieristico l’arduo compito di recuperare gli effetti personali del paziente Covid appena deceduto. È un compito che i medici e gli infermieri svolgono con delicatezza, professionalità e rispetto, "per restituire ai familiari un ricordo di chi se n’è andato a causa di un virus che ci toglie anche la dignità di morire". È quanto sta accadendo negli ospedali Covid, visto attraverso gli occhi di chi ci lavora. Lo racconta Marcello Evangelista , segretario regionale Uil Fpl e infermiere nel reparto di rianimazione di Civitanova. "L’altro giorno – spiega Evangelista –, la moglie di un paziente mi ha detto che stava cercando una testimonianza del marito, mi ha detto ‘sto cercando la carta d’identità, la patente, qualsiasi cosa mi faccia ricordare di lui’". Quando sono entrato in questa piccola stanza, alla ricerca dei documenti di quell’uomo, sono rimasto come paralizzato. Ho visto un mucchio di sacchi neri, messi in un angolo, perché quando si è in guerra non si può andare molto per il sottile, e mi sono reso conto che dentro ciascuno di quei sacchi c’è tutta la vita di una persona. Questo mi ha fatto molto male. Possiamo restituire solo alcuni oggetti, come il portafoglio e la fede, ma non i vestiti. Pantaloni, camicia, scarpe sono invece portati via, e smaltiti con i rifiuti speciali". La richiesta di quella donna, che aveva appena perso il marito, "mi ha toccato profondamente – prosegue Evangelista –. La vita di una persona si riduce a questo? A un sacchetto che non si può neanche resitituire ai familiari? È qualcosa che fa accapponare la pelle. Tutti sappiamo che prima o poi dobbiamo morire, ma magari si pensa a una morte dignitosa, con un marito e una moglie o dei figli vicini, e chi è credente anche a una estrema unzione. E invece così è peggio della guerra, c’è un nemico spietato che non permette nenache di dare l’ultimo saluto ai cari". Quando c’è il decesso di un paziente Covid, si compila un modulo con un elenco degli effetti personali da restituire, come il portafoglio, l’anello e la fede. "Sono queste le cose che riconsegniamo, prima vanno disinfettate bene, lavate e messe in una busta, di tutto ciò si occupa il personale dell’ospedale". Si continua a lavorare in emergenza, con la consapevolezza da parte degli operatori sanitari di essere i più esposti al rischio del contagio. "Le mascherine sono ancora merce rara – sottolinea Evangelista – ed è stato difficile vedere una rianimazione da cinque posti letto trasformata in una da tredici, sistemando le persone un po’ ovunque. Ed è altrettanto difficile assistere, impotenti, al ricambio continuo dei letti per la perdita dei pazienti. Le difficoltà dei medici, poi, sono infinite. Basta pensare al fatto che un paio di volte al giorno devono comunicare le condizioni dei pazienti ai familiari per telefono, ed è durissima quando si deve comunicare un decesso. Dire a un familiare che quella persona non ce l’ha fatta, c he non potrà mai più rivederla, è un compito veramente arduo. La sofferenza palpabile nei reparti va a incidere sul morale di tutti. Ci dicono che i dati stanno migliorando, ma intanto il nostro reparto è sempre strapieno, arrivano di continuo pazienti da intubare". Una grande gioia per tutti è stato il risveglio dell’infermiera Silvia Mazzante, di 39 anni. Era intubata proprio a Civitanova. "Ma è dura quando uno di noi cade – sottolinea Evangelista –, e penso al nostro primario, Daniela Corsi, a casa perché contagiata. È il nostro generale, come la chiamiamo in senso buono, perché si batte per medici e infermieri fino allo sfinimento. Coraggio Daniela e ti aspettiamo". Chiara Gabrielli