"Difficile provare la violenza sessuale Non ci sono stati errori investigativi"

L’ex procuratore Giorgio: dopo un’ora a guardare le foto dei resti di Pamela, mi sentii male in ufficio

di Paola Pagnanelli

"Temevo questo esito. Era difficile provare la violenza sessuale nella forma dell’approfittamento della condizione di inferiorità psichica di Pamela Mastropietro sotto l’effetto di stupefacenti, perché nulla purtroppo ci ha potuto dire lei, testimone essenziale, orribilmente trucidata". L’ex procuratore Giovanni Giorgio, che coordinò le indagini sul delitto, non è sorpreso dalla decisione della Cassazione, che ha confermato la colpevolezza di Innocent Oseghale per l’omicidio, ma ha rinviato gli atti a Perugia per riesaminare l’aggravante della violenza sessuale. "Occorrerà leggere le motivazioni della sentenza, per capire quali approfondimenti dovrà fare la corte – aggiunge –. Io avevo dato importanza probatoria alle dichiarazioni dell’ex collaboratore di giustizia Vincenzo Marino, che aveva raccolto confidenze in carcere da Oseghale.

"La Corte di assise di Macerata, però, redigendo comunque un’ampia motivazione (integrata poi da quella di appello) ha ritenuto inattendibile Marino con argomentazioni a mio parere discutibili. Avevo sollecitato per iscritto il procuratore generale della Corte di appello a valutare l’opportunità di risentire Marino nel giudizio di secondo grado, ma la mia sollecitazione non è stata presa in considerazione. Il procuratore generale non ha ritenuto di interloquire sul punto con me, come mi attendevo nel contesto dei rapporti di collaborazione tra uffici requirenti di diverso grado". Si doveva puntare di più sulla condizione psichiatrica di Pamela, come dice la famiglia? "Sinora, per rispetto dell’immenso dolore subito dalla famiglia, ho evitato di replicare alle reiterate critiche che mi sono state mosse, quasi che la condanna di Oseghale in Cassazione per l’omicidio e gli altri delitti non sia conseguenza dell’attività del mio ufficio. La Cassazione – prosegue Giorgio – ha confermato in modo definitivo la bontà dell’operato del mio ufficio che, inaspettatamente, era stata messa in discussione in un’intervista a un settimanale, prima dell’appello, anche dal difensore della famiglia Mastropietro; l’avvocato Verni mi aveva accusato di gravi errori procedurali. Nessuna sentenza sinora ha evidenziato miei errori investigativi, peraltro umanamente possibili; anzi tutte le richieste, anche di archiviazione, avanzate da me e dalla collega Ciccioli sono state accolte e mai messe in discussione. Secondo la consulente della parte civile, Bruzzone, Pamela era afflitta da una grave malattia psichica, constatabile da chiunque interloquisse con lei. Una tesi che non ho ritenuto si potesse sostenere al di là di ogni ragionevole dubbio, visto che ad esempio lo psichiatra della comunità di Corridonia non ha detto la stessa cosa". Quanto rischia ora Oseghale? "Senza l’aggravante, non più di 30 anni, la pena massima anche cumulativa per più reati prevista dal nostro ordinamento penale. Spetterà comunque alla Corte di appello quantificare la pena". A quattro anni da quei fatti, cosa le le viene in mente quando ci ripensa? "Durante la mia permanenza a Macerata sono avvenuti diversi omicidi molto cruenti. Penso a Pietro Sarchiè, a Maria Pia Bigoni e a Rosina Carsetti. Fatti gravissimi, tra i quali non mi sentirei di prospettare una graduatoria di gravità: le vite di quelle persone sono state stroncate barbaramente. Ma rammento istintivamente una domenica sera del febbraio 2018 passata nel mio ufficio in procura a esaminare le foto dei resti del cadavere di Pamela Mastropietro, per tentare di trarne spunti investigativi. Dopo oltre un’ora, sono stato costretto a interrompere la visione di quella orribile documentazione, perché mi sono sentito male".