
Don Fabio sopra il muro del pianto
Continua il viaggio alle origini della fede di don Fabio Moretti, partito a ottobre da Corridonia per la Terra Santa, in un territorio teatro del conflitto israelo-palestinese. Tornerà a giugno. Non è la sua prima esperienza all’estero, visto che prima di arrivare a Corridonia nel 2015 era stato missionario in Kosovo.
Don Fabio, come procede la sua esperienza?
"Sono arrivato da tre mesi. Faccio parte del cammino neocatecumenale che a Gerusalemme ha aperto una casa, chiamata Domus Betaniae in quanto situata sul Monte degli Ulivi. Con sacerdoti da tutto il mondo, due famiglie e un laico vivo una esperienza di immersione: attraverso corsi ed escursioni cerchiamo di andare alle radici della nostra fede, soprattutto del battesimo. Siamo guidati da un’equipe di quattro presbiteri diretti dal biblista don Francesco Voltaggio".
Quale clima si respira a Gerusalemme?
"Il conflitto generato dal tragico 7 ottobre 2023 non l’ha toccata direttamente, ma ha interessato due zone periferiche estreme: il confine con il Libano a nord e la striscia di Gaza a sud, con perdite considerevoli tra i militari e i civili inermi. Questa nazione ha conosciuto pochi tempi di pace e deve la sua sussistenza alla capacità militare: la leva è obbligatoria, tre anni per i ragazzi e due per le ragazze. Il resto di Israele ha cercato, anche se in modo surreale, di vivere un’apparente normalità. In città sono aumentati i controlli delle forze dell’ordine e sono sospesi i pellegrinaggi, e questo sta costituendo anche un problema economico. La stampa ha spesso restituito una visione diversa dalla realtà".
Com’è la situazione della minoranza cristiana?
"Per ovvie ragioni di sicurezza non ci siamo neanche avvicinati alla regione più calda della Terra Santa. Come non è facile la sopravvivenza della minoranza cristiana in contesti poco inclini al rispetto e alla reciprocità, ancor più diventa drammatica la sussistenza in territori in guerra. Eroici sono coloro che decidono di restare".
In che modo la Chiesa sta aiutando la comunità locale?
"Le Chiese con i diversi riti sono state in prima linea, innanzitutto rimanendo accanto alla popolazione sofferente, e non è mancato un aiuto materiale con la costante denuncia del Papa sulle violenze. Il conflitto ha peggiorato la situazione vissuta dai cristiani che qui sono diventati una minoranza, sono emarginati e fanno fatica a essere accettati".
Per lei che Natale è stato?
"Speciale perché lo abbiamo celebrato a Betlemme, al monastero delle monache adoratrici a pochi metri dalla basilica della Natività. E poi unico, il primo da quando sono sacerdote vissuto senza preparare in funzione degli altri. Un prete fra tanti".
Diego Pierluigi