La malattia di Palma Romagnoli: "L’Alzheimer tragedia doppia: i familiari restano smarriti"

Manuela Berardinelli, responsabile dell’Afam: devono affrontarla in completa solitudine "Serve l’assistenza domiciliare, ma questo richiede una rete che coniughi aspetto sociale e sanitario".

La malattia di Palma Romagnoli: "L’Alzheimer tragedia doppia: i familiari restano smarriti"

La malattia di Palma Romagnoli: "L’Alzheimer tragedia doppia: i familiari restano smarriti"

"Solo negli ultimi dieci giorni io stessa ho ricevuto sei telefonate con richiesta di aiuto. Altrettante, se non di più, sono arrivate alla segreteria Afam. Ciò fa capire la proporzione del dramma. L’Alzheimer e altre forme di demenza sono patologie particolari perché toccano tanti aspetti della persona: gli affetti, le relazioni, la storia, il vissuto, le attitudini". Manuela Berardinelli, presidente nazionale di Alzheimer Uniti Italia e responsabile dell’Afam (Alzheimer uniti Marche), sottolinea come sulla tragedia di Corridonia ci si debba astenere da ogni giudizio.

Cosa succede quando l’Alzheimer irrompe in una famiglia?

"E’ una tragedia a doppio copione: quello della persona malata, che nel suo smarrimento vive una paura profonda che non sa elaborare né dichiarare; e quella del familiare, che si trova a fronteggiare una situazione, di cui quasi sempre sa poco o niente, in perfetta solitudine. Un grande dolore vissuto in una quotidianità difficile. Anche chi non arriva a gesti estremi assiste, giorno dopo giorno, alla scomparsa di se stesso: il familiare vive una solitudine profonda, un senso di inadeguatezza, di paura, di sconforto e di enorme stanchezza che lo consumano. E’ in questo contesto che va inquadrata la tragica vicenda di Corridonia che, sfortunatamente, non è un singolo episodio, ma uno dei tanti di cui spesso la cronaca ci dà notizia".

Cosa dicono i familiari di questi malati?

"Tante volte mi sono sentita dire: vorrei scappare, ma so di non poterlo fare, seguito a prendermi cura di lui/lei senza aiuto alcuno, con amore e con dedizione. Però sono sfinita/o, mi sento spento/a, come se non avessi più la forza neanche di pensare. I familiari arrivano all’Associazione stremati, perché incapaci di conciliare la loro vita con quella assistenziale rivolta ai loro cari. E, soprattutto, si sentono abbandonati: non c’è un sistema in rete coordinato che li sostenga".

Che cosa si può e si deve fare?

"Si può e si deve intervenire su più fronti. Bisogna puntare, soprattutto, sulla domiciliarità, cioè fare in modo che il malato sia assistito a casa. Ma questo richiede un ’caregiver allargato’, che coniughi sociale e sanitario: i familiari, cioè, devono poter contare su una efficace rete di servizi territoriali, ripensando il sistema dell’assistenza in modo che sia adeguato alle vere necessità degli anziani non autosufficienti. In questo modo si riduce lo stress e il senso di isolamento, garantendo una presa in cura tempestiva e personalizzata per il malato, con un costante monitoraggio del piano di assistenza. E ciò significa anche ridurre i ricoveri e gli accessi impropri al pronto soccorso, ritardando o addirittura evitando il ricovero in Rsa o case di cura per le quali non può esistere un modello standard: l’assistenza va personalizzata".

Quanto sono concrete le possibilità di attuare questi interventi?

"L’Alzheimer è una brutta malattia, ma con un sistema in rete, con informazione e formazione specifica ad ogni livello, con un approccio centrato sulla persona, la qualità della vita - sia per i malati che per i familiari – migliora, e di molto. Non è utopia. E’ già realtà in diverse parti d’Italia. Serve solo la volontà di farlo"