Alessandro
Feliziani *
Tutti, almeno una volta, ci siamo sentiti dire: "Quanto ti invidio!" Ebbene, chi ci lusinga così, magari per compiacersi
di un nostro successo, non è detto che sia una persona invidiosa. Nonostante la frase possa apparire sibillina, potremmo ritenere sincero quel compiacimento, perché
il vero invidioso non dà mai
a vedere il proprio sentimento e tanto meno confessa
di esserlo. L’invidia, infatti,
è una brutta bestia,
che si nasconde nei "finti atteggiamenti" della persona che abbiamo di fronte e nel suo continuo confrontarsi
con gli altri. Annoverata
tra i sette peccati capitali, l’invidia è un impulso antico quanto l’umanità.
Nel Purgatorio dantesco
gli invidiosi sono descritti
con gli occhi cuciti, effetto
del malocchio che si ritorce contro di loro, e così anche Giotto raffigura l’invidia come un serpente che esce
dalla bocca dell’invidioso,
per poi morderlo negli occhi.
L’invidia è un tema difficile anche da raffigurare graficamente e su di esso
ha scommesso quest’anno
la Biennale dell’umorismo nell’arte di Tolentino.
Il successo è andato oltre
le aspettative, con centinaia
di opere giunte da quaranta diverse nazioni. A palazzo Sangallo ne sono esposte
una sessantina e si può vedere come ogni artista abbia interpretato il tema secondo
la propria sensibilità e i costumi del proprio Paese. Il brasiliano Cau Gomez, vincitore
della rassegna, evidenzia
la tendenza dell’invidioso
a provare sempre tristezza
di fronte al bene altrui, mentre il turco Musa Gumus prende
di mira un’altra caratteristica dell’invidioso: la capacità
di sacrificare se stesso,
pur di impedire il successo dell’altro. Insomma, l’invidia è un sentimento che porta
con sé dolore e frustrazione. Aspetti sconosciuti alla Biennale di Tolentino, che dal 1961, edizione dopo edizione, ci fa sorridere a volte con amarezza, a volte con ironia, ma sempre con intelligenza.
E usciti dalla mostra, possiamo tranquillamente dire: meglio essere invidiati, che invidiare.
* giornalista