Prof testimone al processo sui desaparecidos "Bimbi strappati alle famiglie, trauma doppio"

Carotenuto chiamato in qualità di esperto di America latina: ho conosciuto orfani affidati ai responsabili della morte dei loro genitori

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di Paola Pagnanelli

"Ho conosciuto persone della mia età che erano state sequestrate da piccole e affidate ad altre famiglie, e che a un certo punto erano state in grado di capire chi fossero davvero e chi fossero quelli che avevano considerato i loro genitori, una scoperta che a volte è diventata un trauma nel trauma". Sulle violenze delle dittature dell’America latina il professor Gennaro Carotenuto, docente di storia contemporanea all’Università di Macerata, ha compiuto anni di ricerche, confluite in un libro e finite nel "processo Condor", avviato dal tribunale di Roma sulle violazioni dei diritti umani ai danni di 43 italiani in America latina negli anni Settanta. Il processo ai militari golpisti per il sequestro, la tortura, l’assassinio e la sparizione di quelle 43 persone si è chiuso nei giorni scorsi in Cassazione, dopo 22 anni, con la conferma di 24 ergastoli. Nel processo, è stato acquisita la monografia "Todo cambia. Figli di desaparecidos e fine dell’impunità in Argentina, Cile e Uruguay", ricerca svolta dal professor Carotenuto con Unimc in Italia, Argentina, Cile e Uruguay. "Ma con un’ora e mezza di interrogatorio, sono stato anche testimone nel primo grado del processo, nel 2017 a Roma – spiega il docente –. Mi è stato chiesto di rifare il quadro storico degli anni Settanta nel cono sud. In aula ho fatto un quadro generale e spiegato cosa fosse il piano Condor, temi su cui faccio ricerca dagli anni Novanta, utilizzando le fonti d’archivio in America latina e le fonti dirette, le persone vittime delle dittature e del piano Condor, sequestrate, torturate e sopravvissute".

Cosa era il piano Condor?

"Una sovrastruttura, il coordinamento tra le dittature che si scambiavano informazioni sugli oppositori politici, in particolare su quelli che si rifugiavano da un paese all’altro. Zelmar Michelini ad esempio era il presidente del parlamento uruguaiano; a Roma con Lelio Basso e Bertrand Russel aveva dato vita al Tribunale Russel sulle violazioni dei diritti umani in America latina. Sapendo di non poter tornare in Uruguay, andò a Buenos Aires, ma gli argentini lo consegnarono agli uruguaiani che lo uccisero. Ho lavorato con il figlio di Michelini, Rafael, mentre nel processo a Roma è stato testimone l’altro figlio, Zelmar".

Cosa le hanno chiesto in tribunale?

"Ricostruire le situazioni del tempo. Non è così immediato capire perché si sia arrivati a uccidere così tante persone. Una minima parte delle vittime erano guerriglieri, ma la maggior parte erano intellettuali, religiosi, avvocati, giornalisti, e questo andava spiegato. Anche due suore francesi furono buttate da un aereo".

Come vennero fuori questi omicidi?

"L’arresto del dittatore cileno Augusto Pinochet a Londra nel 1998, di cui si parlò molto nel mondo, cambiò l’interpretazione dei fatti e aprì una stagione di giustizia sulle violazioni dei dritti umani. Divenne palese che non era solamente un episodio all’interno della guerra fredda, ma c’era stato un sistema di massa di violazione di diritti umani. Io non uso il termine genocidio, ma fu qualcosa di molto vicino, fu l’eliminazione di una parte della società. Uno dei frammenti di questa storia è, in Argentina, il sequestro dei bambini, nel 98 per cento dei casi con l’assassinio delle mamme: le militanti politiche incinte venivano sequestrate, tenute in vita fino al parto e poi eliminate. Ci furono oltre 500 casi solo in Argentina. I neonati poi erano adottati dalle famiglie dei militari, con la pretesa di cambiare la loro storia".

Come è stato possibile ricostruire l’esistenza di un vero e proprio piano?

"Negli anni Settanta i figli di una coppia di militanti uruguaiani furono trovati in Cile, i genitori erano scomparsi. Oppure si è scoperto che un rifugiato argentino era stato sequestrato in Bolivia. Piano piano, nel corso degli anni sono venuti a galla a Buenos Aires i centri di detenzione clandestina per uruguaiani, allora si è cominciato a lavorare per capire. Nell’ambiente dei diritti umani le prime notizie sul piano Condor arrivano dagli anni Ottanta, ma non ci si credeva. Della sentenza di questi giorni è fondamentale il fatto che l’Italia prenda atto dell’esistenza di un reato collettivo, e che questo è stato commesso anche contro cittadini italiani, italo argentini o italo uruguaiani. Come ha detto uno dei difensori dei figli delle vittime, in questa sentenza c’è scritto che l’Italia si fa carico delle violazioni dei diritti umani contro gli italiani ovunque accadano".

Accadono tuttora?

"Certo, anzi sono veramente triste, perché il 15 luglio del 2020 fu assassinato Mario Paciolla, che lavorava in Colombia per le Nazioni unite, e dopo un anno non è successo nulla".

È inquietante pensare che le torture e i sequestri fossero un piano sovranazionale e così strutturato.

"La violenza è sempre strutturata. In questo contesto persino lo stupro è strutturato. Solo in Argentina i desaparecidos sono 30mila. L’Esma (il carcere clandestino dei desaparecidos, ndr) sta in uno dei quartieri bene di Buenos Aires. Un paese come l’Uruguay ha tradizioni democratiche solidissime, ma in quel contesto di guerra fredda tutto era giustificato. Una parte importante dei militari aveva avuto l’addestramento negli Stati Uniti, e l’impalcatura ideologica considerava la violazione dei diritti umani utile e necessaria".

Nel corso delle ricerche cosa l’ha colpita in particolare?

"Aver intervistato alcune persone che hanno la mia età, che erano state sequestrate alla nascita e affidate alle famiglie che, in fin dei conti, erano responsabili della morte dei loro genitori e dopo anni – grazie alle associazioni come le Madri di Plaza de Mayo – erano state messe in condizione di capire. Ancora oggi ci sono persone che vengono cercate, anche in Italia. Non tutti erano neonati al momento del sequestro; a una ragazza era capitato a tre anni, e dopo essere stata restituita ai nonni con la psicoterapia aveva lavorato moltissimo per strappare all’oblio quel minimo ricordo della madre vera. In qualche caso le famiglie appropriatrici erano feroci, in altri casi no e i bambini si affezionavano e anche dopo aver saputo hanno mantenuto dei rapporti. A volte scoprire la verità è un trauma nel trauma, e il lieto fine può trasformarsi in una perpetuazione del trauma".