ALESSANDRO FELIZIANI
Cronaca

Riscoprire il dialetto: "È più vivo che mai. Così ve lo dimostro"

Agostino Regnicoli ha collaborato a lungo con il laboratorio di fonetica e scrittura di Unimc. "I termini sono "più veri", tramandano cultura".

Agostino Regnicoli esperto dialettologo (. foto Calavita

Agostino Regnicoli esperto dialettologo (. foto Calavita

Durante la Prima Guerra mondiale i soldati italiani al fronte non riuscivano a parlare tra loro poiché ognuno conosceva solo il proprio dialetto. Solo dopo quasi un secolo dall’Unità d’Italia la lingua italiana è diventata il collante di tutta la popolazione dello Stivale. Quindi si pensava che i dialetti fossero destinati all’estinzione, invece da anni c’è una loro inaspettata vitalità. Ne è testimone e in parte artefice il maceratese Agostino Regnicoli, esperto dialettologo, che ha collaborato a lungo con il laboratorio di fonetica e scrittura dell’Università di Macerata. Da anni il suo campo di ricerca è focalizzato sulla fonetica e la grafia nei dialetti dell’area maceratese ed è “consulente” ortografico per diversi autori locali.

Dottor Regnicoli, a cosa è dovuta questa "rinascita" del dialetto?

"Da quando la lingua italiana si è consolidata i dialetti non sono più "demonizzati" e il rischio di perderli ne ha reso evidente l’importanza. In più è subentrata la consapevolezza che essi non sono una storpiatura dell’italiano, ma un veicolo di cultura e di trasmissione dei valori delle comunità locali".

Il recente successo del settimanale a fumetti "Topolino", uscito in dialetto in alcune regioni, ne è una conferma.

"È stato un importante riconoscimento alla dignità dei dialetti e mi auguro che l’iniziativa abbia un seguito. Può apparire una trovata editoriale, invece l’operazione ha una serietà scientifica garantita dalla supervisione del professor Riccardo Regis dell’Università di Torino".

Come spiega che molti scrittori usano espressioni dialettali nei romanzi?

"Perché i termini dialettali sono "più veri", identificano con maggiore immediatezza cose tipiche di un luogo o di una cultura o perché sono parole cariche di una espressività che a volte non trova corrispondenza nella lingua italiana".

Può fare un esempio con una parola del dialetto maceratese?

"…’nfrosciatu”. In italiano bisognerebbe scrivere caduto rovinosamente con la faccia a terra, ma non avrebbe la stessa forza espressiva".

Come è nata in lei la passione per i dialetti?

"Sono nato a Macerata da genitori non maceratesi e questa circostanza ha reso il mio orecchio attento alle differenze linguistiche tra la famiglia e il mondo esterno. Poi all’Università, grazie ai corsi di ambito linguistico, soprattutto quelli del mio maestro, il professor Diego Poli, ho acquisito gli strumenti per analizzare le differenze e ciò mi ha permesso di occuparmi professionalmente di fonetica ed ortografia".

Quanto è importante che si pubblichino opere in dialetto?

"Moltissimo. Il dialetto si è tramandato oralmente e ora che viene parlato sempre di meno, solo un’esatta conoscenza della grafia garantisce la possibilità di tramandare la corretta pronuncia delle parole, soprattutto per quanto riguarda gli accenti e le vocali, aperte o chiuse, che nei dialetti fanno la differenza anche tra un paese e l’altro della stessa area geografica".

Lei è autore di un manuale premiato al concorso nazionale "Salva la tua lingua locale".

"È un testo per fornire agli autori dialettali uno strumento con cui confrontarsi. Lo hanno pubblicato a stampa le Eum ed ora è disponibile anche in pdf scaricabile gratuitamente dal sito internet della casa editrice. S’intitola "Scrivere il dialetto" e contiene proposte ortografiche per le parlate delle aree maceratese-camerte e fermana".

Successivamente lei ha tradotto in dialetto maceratese "Il Piccolo principe". È stata un’applicazione pratica del manuale?

"In un certo senso sì, ma il motivo vero è un altro. Il capolavoro di Antoine de Saint- Exupéry è il libro più tradotto al mondo. Cimentarsi con un testo famoso, apparentemente per ragazzi ma portatore di valori essenziali per chiunque, era una sfida per dimostrare la capacità di esprimere contenuti profondi anche in dialetto".

Nel nostro territorio c’è un rinnovato fervore per il dialetto?

"Sì, una spinta decisiva l’ha data l’editore Luca Bartoli, che con la casa editrice Vydia ha avviato una apposita collana di racconti dialettali. Come autori molto attivi vorrei citare Silvano Fazi di Macerata ed Ennio Donati di Matelica".

Il dialetto avrà un futuro?

"Sono ottimista, lo stesso papa Francesco ha più volte detto che la fede si trasmette in dialetto, la lingua dell’intimità e della famiglia.

Un suo auspicio?

"Che l’Università di Macerata possa offrire un insegnamento di dialettologia. Peraltro il dialetto maceratese è già studiato all’estero e la più qualificata studiosa è la concittadina Tania Paciaroni, che dopo due decenni di ricerca all’Università di Zurigo ora è docente a Monaco di Baviera.