LORENZO MONACHESI
Cronaca

Vera Gheno a Macerata Racconta: "La nostra lingua non va difesa, bisogna amarla e lasciarla libera"

La sociolinguista oggi alla Filarmonica in uno degli ultimi incontri in programma al festival del libro

Vera Gheno a Macerata Racconta: "La nostra lingua non va difesa, bisogna amarla e lasciarla libera"

Vera Gheno a Macerata Racconta: "La nostra lingua non va difesa, bisogna amarla e lasciarla libera"

Le parole non sono solo parole, ma anche lo specchio di una società in evoluzione. L’incontro con la sociolinguista e divulgatrice Vera Gheno rappresenta un’opportunità per approfondire il tema. L’appuntamento con l’autrice del libro "Grammamanti", nella giornata finale di Macerata Racconta, è alle 18.30 di oggi al teatro della Filarmonica.

Chi è la "grammamante"?

"Il o la "grammamante" è chi ha un rapporto sano con la propria lingua o le proprie lingue; che sa che non c’è bisogno di difenderla o proteggerla, ma di amarla, e che amare significa anche avere fiducia e lasciare liberi".

Chi si oppone a questa figura?

"Non credo che abbia dei nemici. Piuttosto, direi che la visione grammamante della lingua è l’opposto dell’essere "grammarnazi". La persona "grammarnazi" ha una visione rigida, manichea, monolitica della lingua, e così si nega la possibilità di avere con essa un rapporto sano, costruttivo e felice".

Ci sono l’avvocata, l’assessora, la chirurga. Come spiega che a volte sono le stesse donne a preferire il nome della professione al maschile?

"Negli usi linguistici hanno un ruolo importantissimo l’abitudine, la tradizione. Quindi, direi che nella maggior parte dei casi c’è l’inerzia di pensare "si è sempre detto così". Magari, molte persone non si rendono conto che la tradizione si cambia con l’uso, o meglio, che l’uso cambia la tradizione in maniera abbastanza naturale. Oggi abbiamo più donne in professioni e posizioni (apicali) nelle quali prima mancavano, questo fa sì che l’uso di più nomi al femminile si stia normalizzando. Poi, c’è una questione più socioculturale: nella visione patriarcale della società, molte persone, anche donne, pensano ai titoli al femminile come una diminutio del titolo al maschile".

Il cardinale Richelieu diceva "Datemi sei righe scritte dal più onesto degli uomini, e vi troverò qualcosa sufficiente a farlo impiccare". Quanto sono potenti le parole?

"Diceva bene il Cardinale: a cercare bene, troveremo sempre qualcosa su cui eccepire. Deve passare l’idea che comunicare è faticoso, e che il fallimento della comunicazione è la normalità. Quando tocchiamo le parole, tocchiamo le persone. Se non altro per questo, dovremmo usarle con cura".

Quali sono le parole finite nel dimenticatoio ma molto usate fino a poco tempo fa?

"Le parole nascono e muoiono continuamente. Raramente piango sulle parole che muoiono, perché so che fanno parte di un movimento fisiologico di perenne cambiamento linguistico. Detto questo, a me talvolta piace ripescare dei termini desueti, perché li trovo utili, divertenti, icastici".

Lei parla ungherese e italiano, ma conosce anche il finnico: cosa si perde e cosa si acquista passando da una lingua all’altra?

"Io, passando da una lingua a un’altra, non posso che guadagnare. Non mi sono mai sentita di perdere nulla. E vorrei nominare, tra le mie competenze linguistiche, anche il dialetto veneto, di Romano d’Ezzelino, che è la lingua madre di mio padre, che è stato così lungimirante da insegnarla anche a me".