Crac Italcarni Carpi, debiti per 40 milioni di euro

Indagine della Finanza, ipotesi bancarotta fraudolenta. Decine di allevatori non pagati

L’indagine  della Guardia di Finanza

L’indagine della Guardia di Finanza

Modena, 15 gennaio 2019 - Un buco da 40 milioni di euro e un’indagine della Guardia di Finanza per bancarotta fraudolenta.  Dal passato di Italcarni, azienda di macellazione che ha fatto la storia dell’economia carpigiana, emergono debiti pesantissimi, creditori inferociti e presunti reati penali.

Il tribunale ha dichiarato il fallimento nel maggio 2016 ma la crisi era già conclamata nel 2014 quando fece il suo ingresso, con affitto di ramo d’azienda, la cooperativa di allevatori mantovana Opas.

In quattro anni la macellazione è stata completamente rimessa in moto e nella primavera del 2018 Opas, assieme all’Alcar Uno del colosso Levoni, si è aggiudicata all’asta la proprietà dell’azienda per 14 milioni di euro.

 

Sotto l’insegna Filiera Sì (51% Opas e 49% Levoni) è nato il maggior polo italiano della macellazione suina ma nel frattempo i debiti di Italcarni non sono stati pagati: decine di allevatori di tutto il Nord Italia vantano crediti esorbitanti per i maiali macellati e, dopo esposti, ricorsi e segnalazioni all’autorità giudiziaria presentati tramite i loro avvocati, la Procura ha acceso un faro sul fallimento di Italcarni avviando un’indagine condotta dalla Guardia di Finanza.

Secondo gli allevatori (sono una decina, per un credito complessivo di circa 1,6 milioni di euro, ad aver presentato esposti) gli ex amministratori di Italcarni avrebbero commesso il reato di bancarotta preferenziale: avrebbero favorito Opas, che a sua volta vantava un corposo credito, stringendo quindi un’alleanza in conflitto di interesse e lasciando a bocca asciutta gli altri allevatori.

 

L’ipotesi che sia stato commesso un reato da parte di amministratori e società di revisione, è contenuta anche nella relazione riservata che il commissario liquidatore ha trasmesso alla Procura e al Ministero dello Sviluppo economico.

 

La strada penale è ora l’unica speranza per gli allevatori di rivedere i propri soldi: dei 14 milioni di euro ricavati dall’asta fallimentare, circa 13 milioni andranno alle banche e quello che resta servirà per pagare i professionisti che si sono occupati della liquidazione coatta amministrativa.

Nelle oltre 100 pagine di stato passivo di Italcarni si leggono nomi di fornitori che vanno da aziende agricole a società di servizi, dal Comune di Carpi ad Equitalia.

I lavoratori sono stati assorbiti da Opas, chi ci rimette di più sono le aziende agricole: si va dai 155mila euro di una società cooperativa agricola di Valpantena, nel Veronese ai 240 mila euro di una società agricola di Cortile di Carpi fino ad una società di Parma che vanta 100mila euro.

 

I crediti più corposi riguardano allevatori tra Emilia e Lombardia ma Italcarni aveva debiti con tutti, anche con il suo mondo di riferimento politico, cooperativo e amministrativo: al Partito democratico di Modena deve 2mila e 500 euro, a Legacoop Estense 145mila euro, al Comune di Carpi quasi 130mila euro tra credito privilegiato e chirografo.

L’indagine, avviata nell’aprile 2018, è piuttosto complessa ed è coordinata dal sostituto procuratore Giuseppe Amara che in passato si è occupato del Crac Parmalat alla Procura di Parma.