L’alba rossa di Maranello "Una Ferrari da sogno"

Leclerc trionfa in Australia e la culla del Cavallino esplode di gioia. Le campane suonano l’inno di Mameli, il sindaco Zironi: "Che orgoglio"

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di Gianpaolo Annese

Il colore liturgico della Domenica delle Palme è il rosso, per cui il paramento che indossa il parroco di Maranello è due volte appropriato. "Vado a suonare le campane", annuncia don Marco Bonfatti congedando una fedele con cui ha appena scambiato un ramoscello d’ulivo. I rintocchi a distesa si impegnano a riprodurre non senza qualche incertezza l’inno di Mameli, mentre a pochi metri dalla chiesa, nell’auditorium che porta il nome del Drake, il popolo dei ferraristi radunato dalle 7 (posti esauriti già da quattro giorni), come fosse un tutt’uno col pilota, dalle poltrone dà una spinta di bacino in avanti aiutando Charles Leclerc a tagliare per primo il traguardo del Gran Premio di Formula 1 d’Australia.

Mai levataccia all’alba di domenica fu più gradita: l’esultanza per l’ottima partenza, il "noooo" dopo che Carlos Sainz finisce spiaggiato nella ghiaia, l’ovazione incontenibile per il ko di Verstappen, il crescendo degli applausi per numero e intensità. Fino al boato finale ad accompagnare la cavalcata trionfale del pilota monegasco e del Cavallino sempre più rampante. "We love Italy, we love Ferrari", sorride un trio di turiste inglesi tutte bardate, dal cappellino in testa alle scarpe. "Veniamo spesso in vacanza in Italia e in questo periodo non volevamo perderci la gara, l’abbiamo voluta vedere proprio qui".

Maranello dunque per la seconda volta in poche settimane balza al centro del mondo. E la casuale compresenza della mostra di trattori nell’ambito della concomitante Festa di Primavera sull’altro lato della strada provoca un interessante corto circuito: Maranello è sì ‘fast car’, ma anche ‘slow way of life’. Terra di motori insomma nel senso più esteso possibile: bolidi che corrono come pochi, territorio industriale per definizione, ma anche tradizione contadina che mai sarà rinnegata. "C’è un sentimento vero – gongola il sindaco Luigi Zironi tra le poltrone dell’auditorium – che unisce i maranellesi agli appassionati: è l’orgoglio di appartenere a una storia unica, fatta di passione e tenacia. Grazie Ferrari!".

Di fianco a lui un’intera famiglia di Budrio – papà Salvatore, mamma Giovanna e il figlio Karol – sventola la bandiera: "Nostro figlio è un tifoso sfegatato, ha voluto studiare all’Iis Ferrari, in via Dino Ferrari. Ormai stiamo pensando di trasferirci". I piccoli Diego ed Edo portano fortuna e hanno le idee chiare: "Il pilota è importante, ma la ricostruzione della macchina è stata fondamentale".

Weekend speciale anche per una combriccola di Bergamo, Dario, Italo e Daniele: "Alloggiamo in quell’albergo, non potevamo mancare. Abbiamo assistito alla gara con il fiato sospeso, è un sogno essere qui oggi". Davanti alla Gestione sportiva – dove giorno dopo giorno il mito si fa carrozzeria, telaio e acquisisce un’anima – Aurelio ha un paio di bottiglie di champagne con i bicchieri: "Sono stati due anni di sofferenza e adesso il nostro lavoro si vede. Siamo orgogliosi di aver contribuito alla vittoria". Merito del pilota o della macchina? "Non posso scendere in questi dettagli…", si schermisce mentre abbraccia un collega che ha appena finito il turno. Poco lontano il carosello festante delle auto si dirige verso il Museo: "Tanta robaaa!".

Anche Paolo è in tuta: "Ferrari non è solo un simbolo, vuol dire far parte di una squadra, condividere uno spirito". Ma adesso deve affrettarsi: "Devo fare una cosa". C’è da issare la seconda bandiera all’ingresso della fabbrica, come dopo ogni vittoria. "La Ferrari è tornata".