’Mistero Buffo’, l’omaggio di Martelli a Fo

Al Fabbri di Vignola la reinterpretazione del testamento artistico del Nobel. "Eredità pesante, un classico del teatro con attualità"

’Mistero Buffo’, l’omaggio di Martelli a Fo

’Mistero Buffo’, l’omaggio di Martelli a Fo

di Stefano Luppi

Il celebre ’Mistero Buffo’, forse uno dei ’pezzi’ più qualificanti e senz’altro amati del teatro contemporaneo derivante dalla Commedia dell’Arte medievale, messo in scena dal 1969 da Dario Fo attraverso il suo straordinario grammelot, il linguaggio composto da suoni, onomatopee, parole e termini privi di significato e gutturali, viene riportato sul palco dall’attore 37enne Matthias Martelli di Urbino, stasera alle 20.30 al teatro Ermanno Fabbri di Vignola; lo spettacolo, tratto dal vero e proprio testamento artistico del Nobel e della moglie Franca Rame, sarà un omaggio alla indimenticabile coppia e anche all’attore Eugenio Allegri, scomparso pochi mesi fa (era il regista).

Martelli perché scegliere Mistero Buffo?

"Si tratta dell’opera che mi ha fatto letteralmente innamorare del teatro da bambino, anche se sembra banale dirlo. Avevo 9 anni quando lo vidi in tv con i miei genitori e quell’attore così particolare, un adulto che giocava e inventava storie e personaggi nell’aria, mi fece impazzire. Quando anni dopo ho iniziato a fare teatro chiesi a Eugenio Allegri, un attore dall’occhio teatrale e dalla cultura giganteschi, se potevamo dedicarci proprio a questo spettacolo. Da allora, siamo nel 2015-16, abbiamo sempre aggiunto nuove giullarate arrivando in totale a 4 ore da cui scegliamo ogni volta un’ora e mezzo di spettacolo".

E Dario Fo, scomparso nell’ottobre 2016, l’ha incontrato? "Proprio quell’anno gli chiedemmo il permesso per portare in scena il Mistero Buffo mandandogli una cassetta con il pezzo più importante, quello dedicato a papa Bonifacio VIII, una critica al potere di ogni tempo. Lui ci diede il via libera, molto interessato. Davvero incredibile".

E dal vivo il Nobel l’ha incontrato?

"Sì, avevo 25 anni. Ricordo che cercai una mail e gli scrissi perché a Torino, presso l’Atelier Teatro Fisico, dovevo studiare Jacques Lecoq, il grande attore e mimo francese anche maestro di Dario. Lui incredibilmente mi telefonò e mi invitò nella tenuta in Umbria chiedendomi di partecipare a uno stage teatrale di una decina di giorni. Poi passando appunto a Mistero Buffo".

Questo tipo di teatro, con tratti grotteschi, insegna che anche gli aspetti più sgraziati del proprio corpo possono essere utili strumenti scenici. Lei come lo ha impostato il suo Mistero?

"L’eredità è certo pesante e noi rispettiamo al massimo il testo di Fo, aggiungendo come faceva anche lui pezzi di attualità, ma trattandolo come un classico del teatro, appunto sulla tradizione antica e gli insegnamenti di Lecoq e Dario".

Quali sono state le principali difficoltà?

"Occorre senz’altro entrare, tutte le sere, in contatto con il pubblico perché la tecnica e lo studio sono importanti, ma qui se non ti accetta il pubblico è un problema".