Un futuro incerto e una carriera segnata dalla precarietà, che spesso si traduce in una vera e propria ‘guerra tra poveri’ con altri professionisti. È questo il modo in cui diversi ricercatori di Unimore descrivono la loro realtà, costretti a vivere tra contratti a termine, mancanza di tutele e poche prospettive di stabilizzazione. Due di loro hanno accettato di raccontare la propria esperienza, a condizione di restare anonimi. "Ho più di 40 anni – esordisce la prima ricercatrice – e lavoro nell’ambito umanistico da oltre 15 anni. Nonostante un lungo percorso accademico, non ho alcuna certezza sul mio futuro professionale. Ho dedicato la mia vita agli studi, ma anche dopo un dottorato e diversi concorsi, sembra sempre di ripartire da zero. È frustrante: quando il mio contratto scadrà, dovrò rimettermi in fila e ricominciare tutto da capo, sperando in un’assunzione a tempo indeterminato". La precarietà, spiega la ricercatrice, non colpisce solo il lavoro, ma investe anche la sfera personale: "A più di 40 anni e con 15 anni di esperienza – continua – sono costretta a vivere nell’ansia. Un mutuo diventa un miraggio: i contratti sono a tempo determinato e c’è sempre il rischio di dover cambiare città da un giorno all’altro. Anche la vita familiare ne risente e non è raro parlare con ricercatori che, a causa di questa instabilità, scelgono di non avere figli". Un’altra ricercatrice riferisce di trovarsi, a più di quarant’anni, costretta a fare un passo indietro nella carriera. "Sono medico – esordisce la seconda precaria – e subito dopo la laurea ho conseguito la specializzazione e il dottorato per poi affrontare un’esperienza all’estero. Dopo diversi anni da assegnista, ho iniziato a lavorare come ricercatrice a tempo determinato. Nonostante un percorso impeccabile con ottimi risultati, partecipazioni a congressi internazionali e pubblicazioni, alla scadenza del mio contratto da ricercatrice di tipo A, non mi potrà essere offerta una posizione da dipendente: l’unica prospettiva in cui posso sperare sarebbe quella di fare un passo indietro e tornare a un contratto da assegnista, lo stesso che avevo lasciato diversi anni fa". Come spiega la dottoressa, questa situazione non penalizza soltanto sulla sua carriera, ma rischia di ripercuotersi sulla salute dei pazienti. "È una situazione umiliante – aggiunge – sia dal punto di vista professionale, sia sotto l’aspetto economico, e finisce per ricadere nella gestione dei pazienti: se il mio contratto non prevedesse un’integrazione assistenziale, non potrei più seguirli". "I ricercatori italiani – conclude – ricevono pochissimi finanziamenti dal Ministero e devono reperire la maggior parte delle risorse con bandi europei o fondazioni. Tuttavia, a causa della costante proroga dei contratti a termine non ho potuto partecipare a bandi di finanziamento, quinquennali, per mancanza di continuità". j.g.
Cronaca"Ogni volta sembra di dover ripartire da zero. È frustrante e anche la vita familiare ne risente"