Panaro: perché si è rotto l'argine. Il mistero della falla

La voragine che ha provocato l’alluvione di domenica è stata chiusa in tempi record posizionando pesanti massi. Si torna a parlare di nutrie e istrici come possibile causa

Panaro argine: il punto di rottura

Panaro argine: il punto di rottura

Modena, 8 dicembre 2020 - "Siamo riusciti a tamponare la falla (nella serata di ieri, poi è stata completamenet sigillata, ndr). Ci serviranno altri giorni di lavoro per ripristinare l’argine alla sua origine. Se il meteo ci aiuta è ancora meglio". Marco Franco, della ditta Cib di Bologna, è una persona molto pratica. Non potrebbe essere altrimenti: assieme alla sua squadra di ingegneri, macchinisti, operai e camionisti, è stato in grado di posizionare decine e decine di massi ciclopici di tremila chili l’uno per frenare il corso d’acqua del Panaro che da domenica notte, dopo la rottura di un pezzo d’argine di una quarantina di metri, ha provocato l’allagamento di case e l’intero paese di Nonantola.

Il Panaro si è ingrossato durante la notte e alle 7 del mattino, è arrivato alle case

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Aipo, l’Agenzia interregionale per il fiume Po, aveva previsto tre giorni di lavoro; questa volta è stato un record. "Nessuna pausa, niente cena, nessuno è rientrato a casa questa notte. Il nostro personale è specializzato – dice Franco – da anni opera nei corsi d’acqua e ha imparato a lavorare in condizioni estreme". È il caso dell’argine di via Tronco, che si raggiunge dal vecchio ponte di Navicello, svoltando a destra mentre si procede in direzione Nonantola.

image Se non fosse per il fango e la carreggiata decisamente stretta, la si scambierebbe per una tangenziale per i tanti camion che continuano a transitare. Quando arriviamo, ieri in tarda mattinata, di viaggi ne hanno fatti già centinaia. Procedono in retromarcia, s’incrociano con ruspe e gru, aspettano il proprio turno e poi scaricano quintali di terra, argilla e ghiaia. "In queste ore stiamo gestendo circa 60-70 mezzi" spiega Serafino Scarlato, ingegnere della Cib, che dirige il traffico dei camion e ha in mano la logistica di tutto l’intervento.

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L’alveo del fiume è a cento metri; il punto dove fervono i lavori è distante. Lo capiscono anche i non addetti che la rottura è avvenuta stranamente sulla parte interna dell’argine, non su quella esterna dove arriva la pressione della corrente. Qui in realtà l’argine è in ottime condizioni e si vede nettamente il punto massimo dove è arrivata l’acqua, ben al di sotto della sommità. Nessuno si sbilancia, ma è evidente che si è trattato di una rottura del tutto anomala, in un tratto in cui l’argine teneva la parte destra del corso del fiume in una golena; mentre la parte sinistra, quella sottoposta alla corrente e alla piena, ha retto. È presto per pronunciarsi, ma è evidente che il cedimento ha avuto origine non da cause visibili, ma da cavità sotterranee provocate molto probabilmente dal lavorìo della fauna fluviale. Quasi con rammarico un tecnico di Aipo sul posto si lascia scappare un’esclamazione: "Non fate dire a me queste cose perché poi nascono polemiche".

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Dopo il posizionamento dei massi e dell’argilla, le imprese provvedono in queste ore a impermeabilizzare quel tratto, non ancora completamente ripristinato. "Poi si andrà avanti la messa in sicurezza dell’argine" spiega Federica Pellegrini, della Direzione territoriale idrografica Emilia Orientale di Aipo. 

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Intanto la Confederazione italiana agricoltori dell’Emilia-Romagna oltre a fare una prima conta dei danni ("si parla di alcune centinaia di milioni di euro imputabili alle produzioni e ai mezzi agricoli sommersi dall’acqua") punta il dito contro chi si deve occupare della prevenzione e della cura dei fiumi: "Prevenire – spiega il presidente Cristiano Fini – significa consentire all’acqua un deflusso regolare durante le piene, senza ostacoli e soprattutto evitando con ogni mezzo i rischi di rotture degli argini. Ora è troppo presto per stabilire la causa, ma vanno eliminati i pericoli legati alle tane di animali come volpi, istrici e soprattutto nutrie".